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Discoteche tra chiusura, evasione e concessioni: chi ha ragione?

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La polemica sulla chiusura discoteche non si ferma: tra accuse di evasione e concessioni d'oro.

Da quando lo scorso 17 agosto il ministero della Salute ha disposto la chiusura delle discoteche su tutto il territorio nazionale fino al 7 settembre, si è innescato un acceso dibattito politico e sociale che vede da una parte coloro che vedono le strutture dedite al ballo, e i giovani che le frequentano, ingiustamente accusati di essere dei diffusori del virus, e dall’altra coloro che invece da settimane chiedevano un intervento governativo deciso sul tema. In mezzo tante parole e la tanto chiacchierata questione dei sussidi che il governo ha promesso ai gestori dei locali notturni costretti a tenere le serrande abbassate. Anche su quest’ultima dicitura è necessario ricordare che nelle discoteche è vietato la sola attività da ballo, nulla vieta ai locali di restare aperti per la vendita di bevande, servizio bar o ristorazione. Per cercare di fare chiarezza sul tema è necessario fare un passo indietro e andare allo scorso anno, Agosto 2019, quando il Sindacato Italiano Locali da Ballo (Silb) parlava di un fatturato generale del settore pari a circa un miliardo di euro. Oggi, nel 2020, nel pieno di una pandemia e in prossimità di ricevere degli aiuti statali valutati anche in base a quelli che potrebbero essere le perdite innescate dalla chiusura, lo stesso sindacato parla, attraverso il suo presidente, Maurizio Pasca, di 4 milioni di fatturato a rischio. È stato lo stesso Pasca, in un’intervista al Messaggero, a dire che “in Italia ci sono 2.400 discoteche con un volume di affari di circa un miliardo di euro, parallelamente c’è un mercato abusivo, quasi equivalente”. Stando alle sue parole, il totale, unendo introiti legali e abusivi, sarebbe di 2 miliardo di euro, cioè la metà dei 4 palesati in queste ultime settimane dal Silb. È evidente che qualcosa non torni.

Chiusura discoteche: evasione e concessioni

Dai conti, seppur sommari e basati su quelle che sono le dichiarazioni di un ente fortemente interessato alla vicenda, sembrano esserci delle ombre, sottolineate a più riprese anche da diversi esponenti di spicco del giornalismo italiano, della politica e della società civile. Avrà fatto sicuramente infuriare il Silb Andrea Scanzi che, sulla sua pagina Facebook, ha dato il via alle polemiche con questo post: “Dunque, in Italia ci sono circa 3500 discoteche il cui reddito medio d’impresa (Agenzia delle Entrate) è di circa 4600 euro all’anno.Per cui 4600 euro moltiplicato per le 3500 discoteche farebbe circa 16 milioni di euro. I proprietari di discoteche hanno dichiarato, tramite la propria associazione che avranno una perdita di 4 miliardi di euro. Ora – aggiunge Scanzi – quando si parla di numeri bisogna intendersi: se 4 miliardi fosse Il fatturato e se avessero un utile di 16 milioni, sarebbe un affare che nessuno intraprenderebbe. Se invece dichiarano che avranno una perdita di reddito di 4 miliardi a fronte di 16 milioni denunciati ci sarebbe una lieve evasione fiscale di 3 miliardi e 984 milioni di euro. Così Coriolano Pallacci. Ecco: ora basta con le cazzate e parliamo di cose serie. Le discoteche sono chiuse? Perfetto. Durante una pandemia non si può fare altro. È l’ultimo dei problemi. Lo capirebbe anche un pinolo lesso. E se non altro ci sarà molta meno musica di sgarbi in giro. Daje!”.

Chi ha ragione?

Si parla di evasione fiscale e agevolazioni per i locali da ballo, specie se questi sono situati all’interno di stabilimenti balneari dove, come noto, le concessioni possono essere tranquillamente definite come ultra vantaggiose. La legge Bolkestein, la norma varata dall’Unione europea tredici anni fa che obbliga gli Stati membri a mettere a gara le concessioni per lo sfruttamento delle spiagge, spaventa fortemente gli storici proprietari degli stabilimenti in quanto mira ad una totale concorrenza in nome di un mercato interno europeo unico. Tutti i governi, da quanto la direttiva esiste, hanno prorogato le concessioni. Lo hanno fatto Berlusconi, Renzi e Gentiloni, lo ha fatto il Governo Conte I, quando l’allora Ministro dell’Agricoltura e del Turismo, il leghista Gian Marco Centinaio, consapevole di violare la direttiva Bolkestein (“al 99,9% andremo in infrazione comunitaria”) non solo regalò ai vecchi concessionari una maxi proroga di 15 anni, fino al 2034, ma con Maurizio Gasparri fece un emendamento che in sostanza mette tra i beni dello Stato sdemanializzabili, cioè vendibili ai privati, circa 52.619 spiagge destinate ad attività turistico ricreative, con un’operazione di cartolarizzazione che permette di incassare subito e poi svolgere con calma le aste. A questo vanno aggiunti i bassissimi canoni (parliamo di pochi centesimi a metro quadro) e una riscontrata forte evasione fiscale nel settore turistico che di sicuro ha avuto un aiuto aggiunto dal condono tombale del 30% firmato sempre da Centinaio prima della caduta del governo Conte 1.

Verrebbe da chiedersi il perchè di tutta questa attenzione all’attività turistica. La risposta è prontamente fornita dal Pil italiano, composto in un ampio 15% proprio dal settore che rende l’Italia famosa nel mondo. Anni di aiuti e occhi chiusi per poter permettere il massimo sviluppo possibile del settore che, ironia della sorte, è senza dubbio uno dei più colpiti dalla crisi economica innescata dalla pandemia.

Il caso del Twiga di Briatore e Santanchè

A titolo esemplificativo si riporta un caso molto noto, al centro in questi giorni di un aperto dibattito: il Twiga di Flavio Briatore e della senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè. Quest’ultima ha detto che rimarrà aperta, escludendo la sola attività da ballo, mentre l’imprenditore ha in più occasioni etichettato l’attuale maggioranza come incompetente. Al Twiga di Pietrasanta, con lettini a 1.000 euro al giorno e discoteca, Briatore e Santanché pagano allo Stato 3 euro e 3 centesimi all’anno per metro quadro. Il suo canone annuo è di 17619 euro, a fronte dei suoi 4.485 metri quadri di superficie. Il locale, come riportato da Fanpage, ha un fatturato dichiarato di 4 milioni e 1 di Editba (cioè di margine operativo lordo) all’anno. In sostanza l’affitto dell’area è un 227esimo sul fatturato.

Cifre senza dubbio irrisorie che, è necessario sottolineare, rappresentano quanto previsto dalla legge e che dunque non devono portare a considerare necessariamente come scorretti coloro che ne approfittano. Quel che spesso però fa infuriare l’opinione pubblica e il cosiddetto “piagnisteo esasperato” contro chi ci governa, portato avanti da soggetti sicuramente fortemente agevolati dall’ordinamento e da alcuni suoi meccanismi.