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Recovery fund? Se l'Italia non spende più del 30% dei fondi che arrivano dall'Ue

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I numeri parlano chiaro. Secondo il documento predisposto dal servizio studi della Camera, consultato da Notizie.it, la percentuale italiana è ben lontana dal 46% della media europea.

O la ripresa o la fine, economica, del Paese. I fondi europei sono la madre di tutte le battaglie politiche. Non a caso i 209 miliardi di euro del Recovery fund, declinato con Next Generation Eu, hanno surriscaldato il confronto nella maggioranza, tanto da prefigurare una possibile crisi di governo. Con Italia viva in testa a chiedere un dibattito sul tesoro di fondi straordinari stanziati per affrontare la ripresa del Pil dopo la crisi innescata dalla pandemia di Covid-19. Tutto bene. Ma c’è un esempio, tutt’altro che esaltante, sulla scarsa capacità di spesa da parte italiana. Il Belpaese, infatti, non brilla sul capitolo “impiego delle risorse ordinarie” che arrivano dall’Unione europea, come da programmazione. Una responsabilità diffusa dei vari esecutivi, succeduti negli anni. Una spia anche per quanto riguarda il programma del Recovery fund.

Questo accade, nonostante la flessibilità garantita dalla Commissione europea sul nuovo impiego di quelle risorse. Una mancanza confermata dal governo, che ha giudicato “non soddisfacente” la situazione. I numeri, del resto, parlano chiaro. Secondo il documento predisposto dal servizio studi della Camera, e consultato da Notizie.it, la spesa media è ferma a poco più del 30 per cento. “Rispetto ai 51,4 miliardi considerati dall’originario Accordo di Partenariato per l’Obiettivo Investimento, l’adeguamento tecnico ha portato il complesso delle risorse programmate per tale obiettivo (compresa l’iniziativa Occupazione Giovani) a 54,2 miliardi”, si legge nel documento. Dunque un totale di oltre 54 miliardi a disposizione: le risorse sono la somma de Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e Fondo sociale europeo (Fse).

Di questa pioggia di soldi, 34 miliardi e mezzo arrivano direttamente dall’Unione europea, mente i restanti 19 miliardi e 700 milioni fanno parte della parte di cofinanziamento nazionale. “Il livello dei pagamenti complessivi, rendicontati al 31 dicembre 2019, ha raggiunto oltre 16,7 miliardi, corrispondenti al 30,7% delle risorse programmate.

Il Fse mostra uno stato di avanzamento superiore rispetto ai programmi del Fesr”, riporta ancora la ricerca pubblicata da Montecitorio. Una percentuale lontana dal 46 per cento della media europea. Certo, una gran parte di questa cifra, pari a 31 miliardi e mezzo, risulta impegnata. Ma quello che conta sono i pagamenti effettivi, che sono fermi sotto la quota dei 17 miliardi.

Il caso è stato portato in Parlamento, a Montecitorio, da Francesca Galizia, deputata del Movimento 5 Stelle, con un un’interrogazione rivolta al ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, e sottoscritta da 30 colleghi di partito. Il ministro rispondendo alla Camera, ha ammesso il “risultato non soddisfacente” in merito alla spesa, pur rivendicando “un’accelerazione”. “Tra febbraio e agosto – ha affermato il ministro per il Sud – abbiamo accelerato di circa 3 miliardi la spesa dei fondi strutturali, portando dal 30 a quasi il 40 per cento il grado di assorbimento delle risorse”. Dunque un incremento complessivo di 3 miliardi a fronte di un mancato investimento superiore ai 38, in pratica meno del 10 per cento.

Per Provenzano si tratta comunque di uno sforzo “che vedrà ulteriore impulso dall’azione di riprogrammazione, che, grazie alla flessibilità e alla semplificazione condivisa con la Commissione europea, ha determinato un’ulteriore accelerazione nella spesa e nell’impiego dei fondi strutturali europei”. Le buone intenzioni non mancano, certo. Il ministro ha per questo sottolineato che “300 milioni di fondi strutturali sono stati indirizzati alla didattica a distanza nelle scuole, 650 milioni per il reclutamento di ricercatori e per attrezzature in ambito universitario, ma anche a fornire innovazioni di metodo che saranno fondamentali per la nuova programmazione”.

Ma la questione non riguarda solo l’azione di governo. “Le Regioni hanno delle grosse responsabilità in questo grave ritardo. E non possiamo permetterci che questa incapacità di spesa possa ripetersi con il Recovery fund”, spiega Galizia a Notizie.it. Le risorse riguardano principalmente il Sud per i programmi di investimenti orientato al rilancio.

I fondi sono destinati alle “Regioni meno sviluppate, ovvero con un Pil pro capite inferiore al 75% della media Ue-27 (per l’Italia, rientrerebbero in questa categoria Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia e Puglia)”, le “Regioni in transizione, con un PIL pro capite fra il 75% e il 90% della media Ue (per l’Italia, Abruzzo, Molise e Sardegna); Regioni più sviluppate, con un Pil pro capite superiore al 90% della media del’Ue (per l’Italia, le Regioni del centro nord non incluse nel nuovo obiettivo regioni in transizione”.

Dunque, solo per i contributi europei (esclusa la quota di cofinanziamento nazionale) 23,4 miliardi spettano a Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, poco meno di 8 miliardi alla Regioni settentrionali e 1 miliardo e mezzo ad Abruzzo, Molise e Basilicata. A questi fondi si aggiunge un miliardo e 100 milioni di cooperazione territoriale.

Galizia rilancia un’ulteriore osservazione: la necessità di ottimizzare la spesa in vista del programma Next Generation Eu. “In un periodo in cui i fondi europei giocano un ruolo strategico contro la crisi economica, causata dalla pandemia, era necessario un nuovo approccio nei confronti degli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea, visto il conclamato ritardo accumulato negli anni, soprattutto per i procedimenti farraginosi sbrigliati non senza difficoltà dalle Regioni e da una loro gestione non sempre efficace della spesa dei fondi”, spiega la deputata del Movimento 5 Stelle.

Da questa base è stata preparata la sollecitazione al ministro Provenzano sulla riprogrammazione delle risorse europee. Un capitolo su cui, secondo Galizia, ci sono “importanti risultati grazie a un avanzamento della spesa”. Tuttavia, conclude la parlamentare del M5S, “bisogna fare ancora meglio, perché abbiamo ancora enormi disponibilità da spendere e questa opportunità va colta nel migliore dei modi, soprattutto nel Sud del Paese dove più che altrove va intensificata, velocizzata e migliorata l’efficacia e la qualità degli investimenti delle politiche di coesione, intervenendo al contempo sulla riduzione delle diseguaglianze territoriali”.