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Il grido degli occhi di Josefa, viva dopo il naufragio

josefa dopo naufragio

Josefa, la quarantenne camerunense che guardava i suoi salvatori con gli occhi sbarrati, sta bene. Si è rialzata per la prima volta dopo tre mesi.

Era il 16 giugno 2018, ancora imperversavano le polemiche sul caso Aquarius e sulla chiusura dei porti, quando le foto del salvataggio in mare di Josefa si sono diffuse in tutto il mondo. I suoi occhi vitrei, immobili, paralizzati dall’orrore hanno costretto le coscienze occidentali a fermarsi: chissà di quali immagini quella donna non riusciva a liberarsi, cosa aveva visto? Per via di quegli occhi molti di noi europei, seduti sicuri dietro al lato comodo dei “porti chiusi”, si sono chiesti cosa volesse dire affrontare il viaggio attraverso il Mediterraneo. L’unica arma per tentare di contrastare la potenza degli occhi di Josefa sono state allora le fake news, la spregiudicata menzogna dello smalto rosso che permise, ad alcuni, di nascondersi nuovamente sotto una rassicurante coperta di Linus e ignorare la prospettiva più drammatica delle migrazioni mediterranee: quella di chi migra. Josefa è tornata, implacabile come la prima volta, anche se ora sta bene.

Il lungo viaggio di Josefa, ricostruzione della vicenda

josepha mare

Issata a bordo della nave di Open Arms, Josefa si trovava in grave stato di shock e ipotermia. Prima di riuscire a parlare, a dire il suo nome e a raccontare cosa le fosse successo ha impiegato alcune ore. “Je viens du Camerun” ha detto ad Annalisa Camilli, reporter di Internazionale. “Sono scappata dal mio Paese perché mio marito mi picchiava. Mi picchiava perché non potevo avere figli” ha spiegato. Nel ripercorrere la sua storia la quarantenne camerunense chiudeva spesso le palpebre, sofferente, per poi riaprirle sgranando gli occhi. Una volta arrivata in Libia Josefa si è resa conto di essere ancora in pericolo e che le sue sofferenze non sarebbero finite se non si fosse imbarcata: dice infatti di aver subito percosse e violenze anche dalle autorità libiche.

Lo shock le impedisce di ricordare alcunché sul viaggio in mare. Secondo le ricostruzioni dell’Ong Open Arms, quando il gommone clandestino era al largo è stato raggiunto da una nave della guardia costiera libica, che avrebbe costretto i passeggeri a salire a bordo. Tutti i passeggeri hanno obbedito agli ordini, a esclusione di tre di loro: due donne e un bambino di età stimata tra i 3 e i 5 anni. Sembra che, a questo punto, i libici abbiano affondato il gommone, senza curarsi del fatto che le due donne e il bambino fossero ancora a bordo. All’arrivo dei soccorritori, l’unica superstite era Josefa. Il 17 giugno 2018 Open Arms e le autorità spagnole, per questo motivo, hanno denunciato la guardia costiera libica per omissione di soccorso.

Il canto di Josefa

Josefa è salva, l’unica superstite di uno dei tanti barconi destinati a vedere il Mediterraneo trasformarsi in un impietoso Acheronte. Il suo viaggio, però, non è terminato come quello delle anime dannate: al pari di Dante è rimasta tra i vivi, per narrare gli orrori cui ha assistito. Josefa può finalmente raccontare la sua storia, mettendo a tacere una volta per tutte le voci di chi ancora non vuole credere alla drammaticità dei suoi occhi vitrei. In un reportage esclusivo Avvenire ha pubblicato la lettera che la quarantenne camerunense ha dedicato ai suoi soccorritori il giorno dopo il suo salvataggio.

Quelle scaturite dalla penna di Josefa sono parole di gratitudine: “Sono caduta in un sonno, fino al momento in cui mi sono trovata qui, su questa barca. Qui sono con persone dal cuore grande. Si stanno prendendo cura di me. In tutta la mia vita, prima di adesso, non avevo mai incontrato persone come queste“. Nessuna traccia di quel rancore e di quella rabbia di coloro che, contro di lei, hanno scagliato le peggiori accuse. “La naufraga con lo smalto” non si cura della piccolezza di chi tenta di ritrarla come un’impostora e preferisce ringraziare chi le ha salvato la vita. Tra i soccorritori che l’hanno messa in salvo c’era anche lo spagnolo Marc Gasol, giocatore della NBA. Il campione iberico, nell’issarla sul gommone della ONG si era quasi rotto una mano, mettendo a rischio una promettente carriera. In quel momento, però, per Gasol la carriera era passata in secondo piano. “Da padre, pensando ai miei due figli, ho deciso che dovevo fare qualcosa” aveva poi dichiarato.

josepha gommone 2

Scappata dagli aguzzini e dalla famiglia, salvata da un’ONG

Josefa è una di quei profughi che non scappa da nessuna guerra, da nessuna carestia. Ha quarant’anni e viene dalla Repubblica del Camerun. Nel nord del paese circa tre milioni di persone soffrono gravemente la fame e c’è un rischio di guerra civile dovuto alle spinte secessioniste delle province anglofone. Non sono però questi i motivi che hanno spinto Josefa a cercare nuova fortuna in Europa. In Camerun era sposata, ma, non potendo avere figli, rappresentava un’umiliante infamia per tutta la famiglia. Così era stata chiusa in casa, picchiata, insultata dai suoi stessi familiari, nascosta alla vergogna del villaggio. Ha deciso allora di mettersi in salvo e scappare. Giunta in Libia è riuscita a fuggire anche dai trafficanti di uomini del deserto del Sahara. Quindi, finalmente, si è imbarcata, verso un luogo dove nessun aguzzino, trafficante o familiare, l’avrebbe potuta raggiungere.

naufragio open arms facebook

Così sono iniziati il lungo giorno e la lunga notte al largo del Mediterraneo. Rimasta vittima di un naufragio a ottanta miglia dalle coste libiche, si è lasciata trasportare dalle acque per un giorno e una notte, aggrappata a un pezzo della chiglia del gommone, in compagnia di due corpi senza vita, quelli di una madre e un figlio che non avevano avuto la sua stessa fortuna. “Ho pensato di essere già morta“, ha raccontato. Eppure si è fatta forza e, sola e alla deriva, ha cantato e pregato fino a quando non si è addormentata. Quando i soccorritori dell’ONG Open Arms l’hanno trovata aveva già guardato la morte negli occhi.

Le polemiche della Guardia costiera libica, che Open Arms aveva denunciato per omissione di soccorso, e il rifiuto del Governo italiano di far attraccare la nave dell’ONG a Catania, avevano spinto la Spagna a offrirsi per ospitarla. Quando Josefa è arrivata, aveva smalto rosso sulle unghie. Quello stesso smalto che aveva fatto sorgere dubbi sulla impietosa verità dei suoi occhi terrorizzati. Sono state le volontarie di Open Arms a laccarle le unghie, nel viaggio verso la terraferma. Si è trattato di un tentativo di spostare la sua attenzione dalla tragedia vissuta verso un frivolo e banale gesto di normalità. Josefa si trova in territorio spagnolo da giugno; di lei si è occupata la Croce rossa spagnola, all’interno di una struttura protetta.

josepha smalto rosso

Salvata e sommersa

Sto meglio. Ringrazio tutti. Oggi comincio a muovere i primi passi“. Josefa si è finalmente rialzata. Per più di tre mesi non era riuscita a muovere le gambe. A bloccarle non era stata solo l’ipotermia, ma anche lo shock per quello che aveva dovuto vivere e vedere. Josefa si è finalmente rialzata e con lei si è rialzata la cruda durezza della sua storia. Era stata quasi dimenticata, ma ora la sua voce è arrivata per ripetere con forza quello che i suoi occhi avevano preannunciato. Josefa si è finalmente rialzata e al suo cospetto trema chi non ha voluto tendere la mano alle persone la cui unica speranza era affidarsi al Mediterraneo. Il ricordo dei suoi occhi sbarrati ha spinto i giornalisti ad approfondire la storia e a diffonderla. Nel raccontarla è impossibile non chiedersi come siano invece le storie di tutti gli altri, quale sia il disperato motivo che ha spinto centinaia di migliaia di persone a preferire il rischio di scomparire negli abissi, piuttosto che rimanere dov’era.

josepha occhi

Salvata dalla sorte dell’oblio, Josefa è però stata sommersa dal dolore di quanto ha vissuto. Ora ha i capelli completamente bianchi e i suoi occhi, più distesi, non sembrano aver dimenticato quel 16 giugno 2018. Un velo la separa dalla realtà, il velo di chi ha vissuto sofferenze cui si può sopravvivere, ma che si è condannati a ricordare per tutta la vita. Josefa è salva, ma non si libererà mai degli orrori vissuti. Abbiamo potuto salvare Josefa dal Mediterraneo, ma dobbiamo fare di più, e non permettere a noi stessi di dimenticare il monito dei suoi occhi. Non saranno valse a nulla le conquiste etiche della civiltà occidentale se permetteremo che l’inverno ci offuschi la memoria e faccia colare a picco il grido di aiuto lanciato dallo sguardo paralizzato di Josefa. Che si sfaccia la nostra presunta superiorità morale se permetteremo a noi stessi di dimenticare che questo è stato.