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Brexit, conservatori chiedono la sfiducia a Theresa May

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Nella serata di mercoledi 12 dicembre nel Parlamento Inglese verrà votata la sfiducia nei confronti del primo ministro Theresa May.

Il temuto voto di sfiducia che avevano annunciato i parlamentari inglesi favorevoli ad una Brexit “dura” alla fine si è concretizzato. Per provare ad evitarlo infatti il primo ministro britannico Theresa May aveva passato gli scorsi giorni in giro per l’europa chiedendo il sostegno da parte dei principali capi di stato europei al fine di chiedere alcune ulteriori modifiche all’accordo firmato a novembre. Nonostante ciò però l’inquilina del numero 10 di Downing Street non è riuscita nella sua missione. I principali leader europei infatti non hanno intenzione di modificare l’accordo che reputano il migliore possibile per entrambe le parti. I parlamentari Tories, più intransigenti sulla questione Brexit, proprio a causa di questo hanno avanzato nella mattinata del 12 dicembre 2018 un voto di sfiducia che verrà presentato al Parlamento questa sera stessa.

Cosa rischia la May

I numeri alla fine sono stati trovati. Stando alle leggi inglesi infatti solo con almeno l’appoggio del 15% del parlamento si sarebbe potuto procedere con il voto. Questo significa che nel suo stesso partito ci sono 48 parlamentari che appoggerebbero le dimissioni della May. Graham Brady, il presidente del Comitato 1922, che si occupa di gestire il gruppo parlamentare dei Tories, ha annunciato che il voto di sfiducia sarà presentato al Parlamento nella serata di mercoledì 12 dicembre, rendendo possibile un’uscita di scena di Theresa May.

Cosa ci si aspetta adesso

Se il voto di sfiducia dovesse passare il nuovo leader dei conservatori dovrebbe però attendere circa sei settimane prima di insediarsi. Un periodo di transizione in cui la May rimarrebbe a capo del paese. Stando a quanto scrive il Guardian però secondo i Conservatori non sarebbe possibile trovare un nuovo primo ministro entro quella data. L’unico obbiettivo di questo voto sarebbe quindi la possibilità di ottenere quelle sei settimane, periodo necessario secondo molti per poter modificare le trattative con l’Ue.