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Brexit, le conseguenze di un no deal con l'Unione Europea

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In un clima di incertezza si avvicina la data fissata da Theresa May per l'uscita del Regno dall'Unione. Ma quali conseguenze in caso di no deal?

Con un referendum tenuto il 23 giugno del 2016 i nostri lontani cugini d’oltremanica hanno deciso di abbandonare l’Unione Europea. Un referendum al quale ha partecipato il 71.8% degli aventi diritto, vinto di misura dai “secessionisti”, che ottenendo il 51.% delle preferenze hanno reso la Brexit una realtà

Il 29 marzo 2017 il governo di Theresa May ha quindi attivato le procedure previste dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Articolo che regolamenta le procedure attraverso le quali è possibile per un paese membro abbandonare l’Unione. E che fornisce alle parti due anni di tempo per negoziare il futuro assetto delle relazioni.

L’uscita dall’Unione Europea

Il Regno Unito abbandonerà quindi ufficialmente la famiglia europea alle 23.00 del 29 marzo 2019. Una data che pur giudicata non vincolante, è – almeno per il momento – quella indicata da Theresa May come definitiva.

Un governo, quello guidato dalla May, che sta affrontando notevoli difficoltà presso la Camera dei Comuni. La Camera bassa del Parlamento Inglese si rifiuta infatti di approvare la proposta di accordo tra Regno Unito ed Unione europea finora negoziata dal governo.

Il rischio di una “Hard Brexit”

Diventa quindi sempre meno improbabile la possibilità che si giunga ad una “Hard Brexit”, ossia che si arrivi alla data prestabilita per l’uscita del Regno Unito dall’Unione senza che vi sia un’accordo. Accordo al quale, come dicevamo, spetterebbe il compito di regolare i futuri rapporti tra le parti. Sia per quanto riguarda il traffico di merci, sia di capitali, sia di persone. Uno scenario di incertezza, alle quali i grossi gruppi industriali starebbero cercando di preparasi come possono.

Secondo quanto riportato da SkyTg24, Honda, che nel Regno Unito produce all’incirca 1500.000 vetture all’anno, per sei giorni – a partire dal primo aprile – chiuderà lo stabilimento, in attesa di capire come verranno regolamentati i passaggi alle frontiere delle componenti necessarie alla produzione. Una scelta condivisa anche da BMW, che per un mese chiuderà la fabbrica di Oxford, nella quale viene prodotta la Mini.

A rischio il settore finanziario

Discorso simile per quanto riguarda il settore finanziario, del quale la city, almeno finora, è sempre stata cuore pulsante d’Europa. Due delle società da sempre protagoniste sulla scena londinese, HSBC e Standard Chartered, secondo alcune fonti, starebbero infatti da ormai due anni lavorando alla ricerca di soluzioni di emergenza da adottare in caso di un mancato accordo. In una simile evenienza, infatti, le banche non britanniche non potrebbero continuare ad utilizzare la piattaforma di Londra per operare sui mercati europei. Una problema che colpirebbe tutto il settore. Stando ad uno studio di Ernst&Young infatti, almeno un miliardo di Dollari avrebbe già lasciato le coste inglesi, diretto verso più sicuri porti sul continente, Francoforte in primis.

In aumento l’affitto di magazzini

Una situazione di caos, dalla quale però vi sarebbe un settore in grado di trarre notevoli vantaggi. Il rischio di un forte rallentamento nel passaggio di merci alle frontiere espone infatti ad un notevole rischio le società che esportano sul mercato britannico. Aziende che con una situazione di caos nei porti mercantili rischierebbero di trovarsi prive di merci da vendere, e che cercano di prevenire una simile situazione affittando spazi da utilizzare come magazzini. Spazi il cui costo, negli ultimi due anni e mezzo, sarebbe aumentato del 27%.

Il confine con Irlanda del Nord

Esistono poi anche questioni legate ai confini. In particolare per quanto riguarda quello tra L’Irlanda del Nord, parte integrante del Regno Unito, e L’Irlanda, che continuerà invece a rimanere parte dell’Unione. Un confine che proviene da un passato fatto di Ceckpoint, di torri di osservazione, di dogane e di telecamere, al quale nessuna delle parti sembrerebbe intenzionata a voler tornare. Regno Unito ed Unione hanno quindi deciso di assicurarsi che in nessun caso si debba tornare ad una simile situazione lungo il confine, prevedendo che L’Irlanda del Nord rimanga allineata a standard europei per quanto riguarda prodotti alimentari e standard di merci. Un compromesso che richiederà comunque qualche genere di controllo sui prodotti che dal Regno Unito raggiungeranno L’Irlanda del Nord.

Sterlina in discesa

In discesa anche il valore della Sterlina: Una situazione che porta a crescere il prezzo delle merci importate, e a calare quello delle esportazioni. Una situazione nella quale, se si importano beni che poi – una volta trasformati – vengono esportati, rischia di arrivare a costare molto.

Le ripercussioni della Brexit sul nostro paese

Una decisione, quella effettuata dall’elettorato britannico, che avrà inevitabilmente ripercussioni anche sul nostro paese. Una ulteriore svalutazione della Sterlina potrebbe arrecare danni alle nostre esportazioni dirette oltremanica, che valgono 25 miliardi di Euro. Esportazioni che verrebbero ovviamente danneggiate anche dall’istituzione di dazi al confine.

Esiste poi la questione dei nostri connazionali presenti nel Regno Unito, sul cui futuro status rimane incertezza. Un problema anche per gli studenti italiani iscritti presso scuole inglesi. Studenti le cui rette sono ora equiparate a quelle dei sudditi della Regina Elisabetta, ma che potrebbero dall’oggi al domani vedersi applicare le tariffe di iscrizione ora riservate agli studenti di provenienza Extraeuropea, con rette che possono raggiungere le 35.000 Sterline annue.