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Brexit, May e Ue fissano il rinvio entro e non oltre il 30 giugno

Brexit

30 giugno, questa la data ultima concordata dalla premier britannica Theresa May e Donald Tusk, presidente del consiglio Europeo, per una soft Brexit.

Proroga breve, a patto di riuscire finalmente a strappare la problematica ratifica di Westminster sull’accordo su Brexit raggiunto a novembre. E’ la scommessa che Theresa May e l’Ue piazzano alla vigilia del Consiglio europeo. Una scommessa che minaccia peraltro di creare ingorghi sulla strada delle elezioni europee di fine maggio, con il rischio di dovervi far partecipare una Gran Bretagna in uscita dall’unione. Dietro l’angolo, in caso anche questo accordo si riveli un flop, rimane lo spettro del no deal: l’uscita senza accordo.

May attacca il Parlamento

La premier non si risparmia nell’attaccare lo stesso Parlamento britannico che dovrebbe convincere, in un discorso televisivo alla nazione – seguito dalle subitanee reazioni oltraggiate di deputati di vari partiti – in cui esprime “grande rammarico personale” per aver dovuto invocare lo slittamento. La colpa secondo May sarebbe da imputare alla Camera dei Comuni; poi lancia un appello “al popolo” nell’auspicio che la Brexit sia attuata.

Lettera al presidente del Consiglio UE

In una lettera al presidente Donald Tusk, l’estensione delle procedure d’uscita previste dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona viene richiesta con uno spostamento dal 29 marzo a “non oltre il 30 giugno“. Poi spiega alla nazione che “è tempo di attuare la volontà popolare, come il popolo merita”, dichiarandosi “contraria” a un rinvio protratto nei mesi e definendo “inaccettabile” un ipotetico coinvolgimento britannico nel prossimo voto europeo “a tre anni dal referendum” pro Brexit, avvenuto ormai nel 2016: “il più grande esercizio democratico nella storia” del Regno Unito. Rispondendo al grido “dimissioni” delle opposizioni, imputa quindi all’assemblea d’essersi “concessa fin troppo all’Europa”, di aver bocciato non solo il suo accordo (due volte), ma pure le alternative di un secondo referendum o del piano B del leader laburista Jeremy Corbyn per una Brexit soft con permanenza nell’unione doganale.