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Caso Regeni, un agente egiziano confessa: "Lo abbiamo preso noi"

giulio regeni

Novità sul caso Regeni: un agente egiziano avrebbe confessato di aver rapito l'italiano scambiandolo con una spia inglese.

Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io stesso l’ho colpito più volte al volto”, questo è quanto avrebbe raccontato uno dei militari delle forze speciali egiziane. Quest’ultimo sembra sapere tutta la verità sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato e ucciso nella città del Cairo nel gennaio 2016.

Secondo quanto riportano i quotidiani ‘Il Corriere della Sera’ e ‘La Repubblica’, queste parole sono state riferite “a un collega straniero nel corso di una riunione di poliziotti africani, avvenuta in un Paese di quel continente nell’estate 2017. A rivelare l’episodio è una persona che ha assistito alla conversazione tra il funzionario del Cairo e il suo interlocutore”.

Conte chiama Al Sisi

Il premier Giuseppe Conte ha, inoltre, riferito alla stampa di aver avuto una conversazione telefonica con il presidente egiziano Al Sisi. “Sono stato agli Stati Generali a Firenze, ho parlato con Al Sisi, ho avuto un lungo colloquio al telefono: c’è una rogatoria da perorare oltre che un aggiornamento della situazione libica. C’è tanto da fare”, così ha raccontato il Presidente del Consiglio.

Una nuova pista che può ricondurre alla tanto cercata verità. L’agente egiziano sarebbe ritenuto come testimone attendibile dal procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e dal sostituto Sergio Colaiocco. Proprio per questo motivo, una nuova rogatoria al Cairo è stata inoltrata. Secondo le prime indiscrezioni trapelate sui due quotidiani, l’agente egiziano avrebbe già raccontato quanto avvenuto a Regeni ai legali della sua famiglia.

Secondo gli egiziani, non esistono elementi sufficienti per aprire un’inchiesta. Al contrario, ovviamente, l’Italia è convinta del contrario: “Ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell’assistente Mahmoud Najem e del colonnello Ather Kamal, all’epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco”.