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Brexit, verso il voto del Parlamento: perché l'accordo potrebbe saltare

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Il premier esulta per l'accordo con l'Ue, ma una legge approvata a inizio settembre potrebbe costringere a un nuovo rinvio.

I brexiteers esultano e sventolano la Union Jack, festeggiando il raggiungimento di un accordo tra il Regno Unito e l’Unione Europea per la Brexit. Le foto della stretta di mano tra Boris Johnson e Jean-Claude Juncker sembrano siglare la fine di un’Odissea iniziata nel giugno 2016. Ma sul great deal annunciato dal premier britannico non è ancora detta l’ultima parola, che spetta invece Westminister e poi nuovamente al Parlamento e al Consiglio Europeo. È atteso per sabato 19 ottobre il voto del Parlamento sull’accordo sulla Brexit e il partito conservatore, mentre conta i seggi con preoccupazione, si prepara a dover chiedere un nuovo rinvio. A prevederlo è la stessa legge britannica.

Brexit, sabato il voto del Parlamento

Che si tratti di una situazione eccezionale lo si capisce dalla data della convocazione del Parlamento britannico: di sabato, per la prima volta da quando la Camera è stata chiamata a votare in merito alle Isole Falkland. In caso in cui il voto del Parlamento avesse esito positivo, l’accordo sulla Brexit indicherebbe la definitiva strada verso l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, con il benestare di Bruxelles. Ma, in caso contrario, si prospetterebbe uno scenario diverso da quello dipinto da Johnson.

“O questo accordo o no dealha tuonato il premier britannico prima di presentare il testo al Consiglio europeo. Dimenticando – o fingendo di dimenticare – quanto accaduto lo scorso 9 settembre, quando è entrato in vigore l’EU Withdrawal (No.2), più noto con il nome di Benn Act. La legge prevede che, nel caso in cui il Consiglio Europeo e il Parlamento britannico non raggiungano un accordo entro il 19 ottobre, il governo inglese sia obbligato a chiedere un’ulteriore proroga di Brexit, fino al 31 gennaio 2020. Il Benn Act vanta l’appoggio di una larga maggioranza, di natura trasversale, formata da parlamentari che intendono evitare a ogni costo che il divorzio con l’Europa avvenga secondo la cosiddetta opzione del no deal. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito “inevitabile” un ulteriore rinvio nel caso del respingimento dell’accordo.

Ne è convinto lo stesso Nigel Farage, fondatore del Brexit Party, secondo cui l’applicazione del Benn Act non significherà solo un’estensione della proroga ma anche “un altro fallimento della classe politica”. E, continua Farage, porterà inevitabilmente a nuove elezioni.

Il no degli unionisti irlandesi

Tra le poche certezze, al momento, c’è quella della ferma opposizione del DUP, il Partito Unionista Democratico, pur alleato del governo di Johnson. Proprio nell’Irlanda del Nord si gioca la partita finale sulla Brexit. Se da un lato Londra e Dublino hanno dato il via libera al deal del premier britannico (che si scosta di poco da quello proposto già nel 2018 da Theresa May, ma con l’abolizione del backstop), dall’altro la proposta di un limite doganale situato in mare e di un “limbo” in cui Belfast si troverebbe per i prossimi quattro anni scontenta gli unionisti. Il pericolo è quello di essere sottoposti a una notevole differenza di trattamento rispetto alla Gran Bretagna, che rischia di portare indietro le lancette dell’orologio e vanificare “guerre in cui migliaia di persone sono morte per tenere l’Irlanda del Nord nell’Unione” spiega l’ex attivista Ian Collins al New York Times. “Ora, come se nulla fosse, siamo spinti verso la Repubblica con un confine marittimo e una serie di regole differenti”.