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La Tunisia che non fa notizia

Tunisia

Per giorni si è collegata la Tunisia all'episodio del Pilastro oscurando fatti gravi, tra cui la morte di un'attivista e la partenza dei migranti.

C’è stato un gran rumore, nelle settimane scorse, sull’incursione via citofono di Matteo Salvini al campanello di una famiglia italo-tunisina del quartiere bolognese del Pilastro. Si è un po’ esagerato, in Italia, sulle reazioni tunisine – in quei giorni ero in quel paese – e tutto, alla fine, ha prodotto solo uno strascico milanese, con un consigliere regionale leghista che ha manifestato davanti al consolato tunisino, la reazione del console, le scuse, ma non una vera riappacificazione. Che tutto questo fosse dettato dal clima elettorale – il campanello suonato, ma anche le reazioni – è chiaro, ma vale la pena sottolineare come, in fondo, della Tunisia non interessi niente ai contendenti elettorali.

La Tunisia che non fa notizia

É del tutto sfuggito il funerale di Lina Bhen Mhenni, una giovane donna di 36 anni che era stata tra i protagonisti della Rivoluzione dei Gelsomini, la prima primavera araba, e l’unica che non sia finita male. È morta al termine di una malattia che non le aveva impedito di manifestare, tra un ricovero e l’altro, per ogni diritto violato, e a maggior ragione per i diritti dei malati.

Era stata lei, nove anni fa, dopo il suicidio di un venditore di strada, a documentare con foto e testi in più lingue sul suo blog quello che era avvenuto, contribuendo ad alimentare la protesta che di lì a poco avrebbe costretto il padre padrone della patria, Ben Alì, a fuggire dal paese. Il culmine di una vita da militante più volte oggetto di repressione ? No, Lina aveva continuato ad essere un’osservatrice attenta e libera, senza unirsi ad alcun partito né a forze organizzate.

Tra i suoi temi prediletti i diritti delle donne, cosa che spiega come al suo funerale la bara sia stata portata da sole donne, dalle più diverse aree e storie personali. É anche grazie a persone come lei se, a quasi dieci anni dalla rivoluzione, la Tunisia, pur tra mille difficoltà economiche e travagli politici, può essere ancora descritta come una democrazia.

Un paese in cui la notizia dello scorso fine settimana è stato il salvataggio, a 50 miglia al largo delle isole Kerkennah, di 43 persone che stavano su una barca in difficoltà. Ventiquattro uomini, nove donne, nove minori e un bambino di due anni: tutti tunisini e tutti diretti in Italia. La notizia che invece non è stata tale, nel nostro week end, è l’approdo a Pantelleria di ventuno tunisini. Un primo gruppo di diciassette persone, di cui sette minorenni. Poi un altro gruppetto di sette persone, tutte minorenni (quasi una fuga da casa…). Tutti trasferiti con un traghetto di linea in centri di accoglienza a Trapani.

Non fa notizia perché è difficile sostenere che si tratti di disperati in fuga dal terrore, da una guerra, da una dittatura: sono emigranti normali, che legittimamente vogliono migliorare la propria vita, e hanno colto l’occasione di evitare le regole. L’unico che ha ottenuto qualche riga è stato Hamza El Hawas, arrivato a Pantelleria per conto suo. Ma era l’ultimo dell’anno, ed è arrivato in windsurf: 70 chilometri di mare, più o meno. É uno sportivo e le foto lo ritraggono esultante dopo la traversata da primato. Ma era senza documenti, ed è finito in un centro per migranti pure lui. Forse voleva, insieme, il record e l’accoglienza.