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Primarie dem USA 2020: il caos del caucus in Iowa

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I caucus nelle moschee per le primarie dem 2020 rivelano il crescente desiderio di partecipazione della comunità musulmana negli USA.

Un disastro: il calcolo dei voti nei caucus dello Iowa è andato in tilt. Ogni candidato pretende di essere il vincitore, e i repubblicani gongolano: “Non sanno organizzare una primaria, e vogliono dirigere il Paese”. Ormai sappiamo tutti che lo Iowa è un piccolo Stato dell’America profonda, il Midwest: poco più di tre milioni di persone, grandi distese di grano e di avena, e nulla che lo renda importante se non il fatto di essere, tradizionalmente, il primo appuntamento per le primarie dei democratici. Da un punto di vista numerico o statistico non conta granché, ma qui inizia la gara per designare il candidato democratico per la Casa Bianca, qui i perdenti capiscono che è meglio ritirarsi da una campagna sfiancante e costosissima, qui si capisce chi sono i veri duellanti. E tutti ricordano che chi vince in Iowa in genere è anche il vincitore finale: è successo con Al Gore, con Obama, con Hillary Clinton (ciò che ci ricorda come si può anche essere il candidato democratico e perdere…).

USA, caos alle primarie dem 2020

In queste convulse ore a proclamarsi vincitori sono Bernie Sanders e Pete Buttegieg (il vecchio profeta della sinistra sinistra con il 29,66% e il più pragmatico ex sindaco di South Bend con il 21,4%). Più indietro la senatrice Elizabeth Warren (se si ritirasse i suoi voti andrebbero probabilmente a Sanders, capace di scaldare i cuori dei democratici ma difficilmente in grado di battere Trump) e palesemente sconfitto Joe Biden. Ma i dati definitivi si avranno solo a notte fonda italiana, e vale la pena soffermarsi, intanto, su due dettagli.

Il primo è linguistico: caucus non è altro che la parola indiana con cui i nativi descrivevano il sedersi a gambe incrociate davanti alla tenda. Una bella rivincita per Toro Seduto e i suoi, nel paese dei soldati blu, dei cowboys e degli sceriffi. Anche per il secondo dettaglio possiamo partire dalla linguistica: c’è chi fa discendere la parola “sceriffo” dall’anglosassone shir (cioè “contea”, che in inglese diventa shire) e gerafa, che vuol dire “magistrato civile”. E chi invece pensa venga dal musulmano sharif, cioè nobile, discendente da Maometto. Lo Iowa ospita dalla fine dell’800 una comunità musulmana, principalmente libanese e siriana. A testimonianza di radici profonde, la moschea di Cedar Rapids è la più antica degli USA: ha novant’anni e viene appunto chiamata la Moschea Madre. E in questi giorni è stata sede di un caucus.

Quando la moschea diventa un caucus

I caucus possono essere organizzati ovunque: sale comunali, cafeterie, palestre, case private. Per la prima volta sono diventate sede di caucus quattro moschee, in un segno evidente di voglia di partecipazione e di assunzione di un peso politico da parte della comunità musulmana. Ma è anche la dimostrazione che la moschea non è esattamente la traduzione in arabo della chiesa cristiana, confinata al sacro e che quanto al profano arriva al massimo a un oratorio e a un cinema. La moschea è un luogo di culto, ma anche un luogo identitario, una “sede” politica, una piazza sociale. Vecchio stampo, perché la nuova piazza è la rete. Dove ha fatto notizia la gaffe di Trump, che con un tweet dopo il Super Bowl si era congratulato con i vincitori Kansas City Chiefs, definendoli orgoglio del grande stato del Kansas. Aveva sbagliato: la Kansas City vincitrice sta nel Missouri, a differenza dell’omonima Kansas City del Kansas.

Poco fa Trump ha twittato di nuovo: “Iowa, ti amo!”. E forse stavolta non si è sbagliato.