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Coronavirus, Gran Bretagna in attesa del contagio: fra paura e incoscienza

Coronavirus Londra

Viaggio in una Gran Bretagna in attesa del Coronavirus, fra la paura degli italiani che sanno cosa gli aspetta e l'incoscienza degli inglesi che ancora si appellano all'immunità di gregge. Ma tutti inermi di fronte a una sanità che non potrà gestire l'emergenza.

“L’aria inizia a cambiare, è una cosa graduale. Day by day”. La tinta grigia di Peckham è come una seconda pelle nei giorni più umidi di Londra, quelli dove la pioggia arriva da un momento all’altro. Sguardi rubati ai passanti, negli occhi la consapevolezza delle circostanze a cui ci si deve arrendere, abituarsi, perché questa volta nessun referendum potrà cambiarne il corso.

Federico appoggia le buste della spesa sul tavolo, la voce lontana al telefono. Sbuffa e si ferma un attimo a riflettere: “Nei supermercati non si trova più un sacco di roba, ma la gente continuerà a fare quello che vuole. Non c’è la stessa percezione qui”.

La doccia fredda di Boris Johnson è frutto di una scelta schietta, figlia di un’intelligenza strategica intrinseca nel Dna inglese, storicamente capace di reagire adeguatamente ai momenti di crisi. Linea che rischia di rivelarsi questa volta fallimentare. “Vedo gente che va in giro a destra e sinistra con buste e facce un po’ stravolte, come se ti guardassero e avessero la percezione di ciò che stiamo facendo”.

Coronavirus Londra

Un rapido check agli acquisti, un bicchiere d’acqua e un’occhiata da dietro la finestra al quartiere. “Una settimana fa era un bug, a nessuno importava, era lontano. Ora che è qui le classi di ceto più basso iniziano a spaventarsi. Cercano su internet, leggono di tutto e di più come in Italia e si suggestionano”.

L’immunità responsabile inglese

Federico fa l’architetto in uno studio a firma italiana, che fin dai primi allarmi ha preferito lo smart working all’imbocco della metro per i suoi dipendenti. Nella consapevolezza pigra del sacrificio che comporterà, la maggior parte degli inglesi si è affidata all’efficacia a lungo termine dell’immunità di gregge, accettandone in silenzio un dettato altrui punto di vista.

Una media che vota conservative, nazionalista e protezionista nei confronti della propria bandiera, legata alla fluenza di una lingua che con una velata presunzione ritiene i propri mezzi migliori degli altri.

Tralasciando i nomi degli scienziati di Cambridge che in mancanza di considerazioni scientifiche hanno appurato questa strategia, chi la situazione la sta vivendo sulla pelle della propria terra – lontana – tutto inizia ad apparire più concreto, tangibile rispetto alle immagini raccontate da coloro in quarantena.

“Secondo te questa va bene, mi protegge?” mi ha chiesto una cassiera al negozio, indicandomi la sua surgical mask, quella base. Poi in strada c’è comunque il tizio che continua a urlare che il mondo sta finendo, ed è lì da mesi”. Una sensazione che dal basso inizia a sollecitare un po’ tutti, ma che preoccupa soprattutto chi l’epidemia da Coronavirus l’ha vissuta prima in seconda fila, e che ora è costretto ad avanzare senza via di scelta nelle prime.

Coronavirus Londra

Il problema sanità

Nel Regno Unito si cerca di non saturare gli ospedali, tenendo coloro che accusano sintomi nelle proprie case: una chiamata al numero d’emergenza per segnalarsi ma senza fare il test, nonostante l’alta probabilità d’essere già infetti. Isolare il contagio.

A giudicare lo scenario sarà l’andamento del tempo, nel frattempo la National Health Service (NHS), il sistema sanitario inglese, denuncia la mancanza di kit e di strumenti adatti ad affrontare un aggravarsi della situazione, e il tappabuchi de “la gente deve stare a casa” è stato attuato come manovra per contrastare il Covid-19.

Una sanità a basso costo che ne ha compromesso la qualità, fatto dichiarato pubblicamente da Johnson con la schiettezza tipica inglese. Nell’attesa di vedere come reagirà questo sistema, nel frattempo si aprono anche molti occhi: italiani, che osservano leggermente intontiti l’escalation, e inglesi, spaesati tra loro.

“Non si sa bene dove o come informarsi. Gli italiani sono in panico, perché qua si andrà al lavoro, si uscirà… c’è più gente fuori ora che prima”.

Coronavirus Londra

Una consapevolezza che si sta allargando in tutti e dove ognuno misura la temperatura nervosa dell’altro tramite domande tipo: “Hai sentito cosa sta succedendo?” o “Ma quindi dobbiamo farci contagiare?”.

“La nostra Human Resources ci sta informando da circa due mesi, puntualmente, sulla situazione. Ho dei colleghi che hanno avuto dei casi nel loro piano, ora isolati, e altri che hanno continuato ad andare al lavoro”.

La distanza spinge la lucidità a osservare meglio le cose, realtà d’obbligo per noi italiani confinati in lontananza forzata. “Rispetto una settimana fa ho amici che mi hanno chiamato per avere informazioni, sai. Una ragazza voleva tornare in Polonia, a casa, ma qua c’è il suo ragazzo e non sa che fare. Le ho detto di andare, bisogna essere responsabili e agire. Logici”.

coronavirus londra

Nella silenziosità che lo configura, il virus scorre nelle strade inglesi, come andamento vuole, dove i più anziani – o affetti da pregresse patologie – sono a rischio, cosa che potrebbe colpire proprio coloro che hanno votato nelle idee più vicine alla bandiera, la Brexit, e le misure di Johnson, che sembra spingerli verso il patibolo.

Fermi, in questo spazio lungo testi dimenticati e pulizie di primavera anticipate, si guarda l’erba del vicino: conoscere le persone e le differenti situazioni che vivono fuori dal proprio giardino aiuta a capire molto, anche le qualità e i problemi che affiggono il proprio Paese, spesso difformi da quelli d’altri. “Io sono lontano dalla mia casa, mio fratello, i miei genitori e la mia terra, dove vorrei essere. Ma questa volta è diverso, questa volta non so quando potrò tornare”.