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Parla l'italiana rimasta a Wuhan: "Il coronavirus è ormai parte di noi"

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Sara Platto è la scienziata italiana rimasta a Wuhan nel lockdown. A Notizie.it parla della ripresa con il coronavirus e di un'ipotesi sul contagio.

Sara Platto è italiana, ma vive a Wuhan da otto anni ed è l’unica italiana che ha scelto di non lasciare la città dell’Hubei nel momento più critico della pandemia di coronavirus. Ora che la fase acuta è passata, guarda al futuro con lo stesso spirito pratico che ha accomunato lei e 11 milioni di abitanti a partire dal lockdown di fine dicembre. Nella città-focolaio della Cina continentale, però, il coronavirus non è stato dimenticato. Nelle strade rimaste deserte per 76 giorni, gradualmente ripopolate, la parola che riecheggia è 中国 责任 , la cosiddetta teoria della responsabilità: un concetto-chiave per interpretare la Cina dentro e fuori la Cina. Sara è docente universitaria di veterinaria a Wuhan ed è consapevole che il Sars-CoV-2 è entrato a far parte della quotidianità dell’uomo e così rimarrà. Per questo, non si domanda come sconfiggere il virus, semmai come conviverci: “E così dovrebbe essere anche in Italia – dice -. Il virus non è un alieno. Ormai fa parte della nostra biodiversità“.

Sara, italiana a Wuhan: “Nessuna paura”

Sara, sono stati registrati nuovi casi positivi a Wuhan. Fanno paura?

“Si tratta di casi lievi e tutto è sotto controllo. Spesso mi chiedono come faccia una città con 11 milioni di abitanti a gestire un’emergenza. In Cina, le città sono suddivise in distretti, cerchi concentrici che diventano più grandi se ci si allontana dal centro. In questo modo il controllo di casi è più facile. E poi sono stati avviati test a tappeto per tutta la popolazione”.

Lo scorso 8 aprile, Wuhan ha dichiarato la fine del lockdown. Come si vive adesso?

“Noi usciamo con la mascherina, che indossiamo sempre, sia sull’autobus che nei luoghi pubblici. Credo che in questa fase sia importante superare la paura, che è il nemico peggiore. Dobbiamo renderci conto che il coronavirus farà parte di quelle patologie stagionali come l’influenza. È entrato nelle nostre vite e non sparirà mai, ma dobbiamo adattarci a convivere con lui”.

Vengono rispettate le norme di distanziamento sociale?

“Anche in questo caso, evitiamo situazioni di assembramento, ma cerchiamo di non avere su di noi quel timore che ci spinge ad essere irrazionali. Lasciarsi prendere dalla paura è la cosa peggiore. Certamente, i ristoranti non hanno potuto riaprire come prima, però per la maggior parte di queste attività esiste l’asporto”.

Cina, informazione e fake news

In merito ai controlli e al tracciamento, c’è chi accusa la Cina di controllare la gente attraverso l’app. È così?

“No. A Wuhan non abbiamo mai avuto autocertificazioni come in Italia. Ogni uscita era esclusa, non potevamo nemmeno andare a far la spesa. Avevamo gruppi sull’app WeChat che sono stati fondamentali nell’organizzazione dei bisogni di tutti e anche nel monitoraggio. Pensi che nel condominio in cui vivo, c’erano persone incaricate di controllare lo stato di salute di tutti. C’è stata una grande collaborazione”.

Per quanto riguarda critiche sulla mancanza di trasparenza delle autorità, invece?

“Lasciano il tempo che trovano. Si vuole incolpare la Cina di non aver agito subito soltanto perché è il Paese in cui sono stati registrati i primi casi, è assurdo! Dichiarare una pandemia richiede verifiche, così come imporre il lockdown totale in una città che rappresenta il 4% dell’economia cinese. Anzi, l’amministrazione di Wuhan è intervenuta chiudendo tutto alla vigilia del Capodanno cinese, senza quelle misure avremmo avuto ben altri numeri”.

Però alcuni continuano ad accusare una lentezza dei provvedimenti presi che ha favorito la diffusione del virus…

“Cito un precedente che in pochi ricordano: nel 2014 in Olanda ci sono stati circa 5mila casi di Febbre Q, una patologia trasmessa dai ruminanti domestici all’uomo, eppure non sono stati presi provvedimenti in blocco anche se scoppiò nel cuore dell’Europa. Nel 2009 con l’influenza suina, gli Usa non hanno chiuso le frontiere: negli Usa l’H1N1 ha ucciso circa 4mila persone”.

A proposito dei numeri, alcuni Paesi accusano Pechino di averli ridimensionati. Cosa ne pensa?

“Le autorità sono state trasparenti fin dall’inizio. La Cina, anzi, ha dimostrato un enorme cambiamento rispetto alla precedente epidemia di Sars. Voglio solo ricordare che la Cina è vasta, non è semplice monitorare i casi nell’entroterra rurale, per esempio. In zone remote, la gente ha difficoltà ad avere accesso a un ospedale grande. Da straniera, dico che la Cina ha fatto uno sforzo di trasparenza“.

Ripartenza con il coronavirus: Italia vs Cina

Dal 18 maggio l’Italia ha avviato la seconda tranche della Fase 2. Cosa dicono di noi in Cina?

“In questo momento, nulla in particolare. All’inizio, però, i cinesi erano colpiti dal comportamento degli italiani, che non si rendevano conto della situazione nonostante le bare. I miei amici cinesi si stupivano che in una situazione così grave non ci fosse un lockdown più stretto. In Cina ci sono stati diversi tipi di lockdown e immediati. Ma anche mirati. Non tutte le città sono state chiuse come Wuhan e l’Hubei. La cosa più ragionevole in Italia sarebbe fare una ripartenza differenziata in base alle situazioni. Essere razionali anche in questo”.

Al terzo giorno di fine della quarantena italiana, nota delle differenze rispetto a quella cinese?

“L’8 aprile per strada continuava a non esserci nessuna, la gente ha avuto molta cautela. Anche i ristoranti hanno aspettato, per poi aprire con il servizio d’asporto. Oggi hanno riaperto le scuole medie a Wuhan. Qui la ripartenza è un processo graduale, fatto con buon senso”.

Come trattano la ripartenza in Cina i media locali?

“Con la stessa trasparenza che menzionavo prima. Oggi la cautela della gente è rimasta, perché tutto questo ha avuto un impatto su tutti noi dal punto di vista emotivo. Alla mezzanotte dell’8 aprile, sono scoppiata a piangere”.

Com’è la vita ora a Wuhan?

“Siamo consapevoli che il coronavirus è entrato nella nostra vita. La gente pensa al virus come se fosse un alieno, ma il virus fa parte della nostra biodiversità, per cui si deve mettere in conto che c’è un equilibrio ospite-parassita. L’ospite col tempo sviluppa alcune difese, mentre il parassita – il virus – cercherà a sua volta di contrastare le difese modificandosi. Dico questo perché la gente ha capito che non si può vivere attendendo un vaccino, per cui vive la sua nuova normalità”.

A cosa sta lavorando in questo periodo?

“Sto scrivendo un articolo scientifico con l’Università di Padova proprio sul coronavirus. L’analisi parte dai Giochi mondiali militari tenutisi a Wuhan. Si tratta ancora di un’ipotesi, ma l’evento sarebbe stato un perfetto boosting per la propagazione del virus. Ci si chiede: perché a Wuhan? Tutti danno la colpa ai wet market: ma sono mercati rionali che in Cina ci sono da sempre, non solo i mercati dove vendono ‘cose strane’. Se tu, invece, hai gente che viene da tutte le parti e a Wuhan hai avuto un rimescolamento, è stato come buttare benzina sul fuoco“.