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Coronavirus in Israele, Netanyahu sotto accusa per la seconda ondata

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La seconda ondata di coronavirus in Israele sta mettendo a dura prova l'esecutivo di Benjamin Netanyahu, accusato di non aver saputo gestire la crisi.

Da nazione modello per il mondo occidentale a epicentro dell’emergenza sanitaria nel Medio Oriente, così la seconda ondata di coronavirus in Israele sta mettendo seriamente a dura prova il governo di Benjamin Netanyahu, accusato dalla popolazione di non aver saputo gestire né la pandemia di Covid-19 né la conseguente crisi economica che ha portato il tasso di disoccupazione nel paese al 23%. L’alleanza di governo con il partito del generale Gantz sta infatti soffrendo questo stato di perenne tensione, mentre nelle piazze israeliane migliaia di lavoratori protestano contro il Primo Ministro.

Coronavirus in Israele, governo sotto accusa

Con poco più di 17mila casi dall’inizio di febbraio e 285 decessi, alla fine del mese di maggio sembrava che le contromisure imposte dal governo avessero contribuito a tenere sotto controllo la pandemia di Covid-19, tanto che lo stesso Netanyahu esortò gli israeliani a uscire e a divertirsi annunciando la riapertura di bar e ristoranti. Tuttavia, dopo neanche due settimane da quell’annuncio è apparso chiaro come l’allentamento delle misure di contenimento sanitario fosse stato attuato in anticipo rispetto alle raccomandazioni degli esperti oltreché in maniera troppo confusionaria.

Secondo il capo del servizio sanitario nazionale israeliano Siegal Sadetzki, l’esecutivo avrebbe totalmente perso la bussola aprendo le scuole e gli esercizi commerciali non appena l’indice di contagio si è abbassato per poi richiudere tutto in fretta e furia alle prime avvisaglie di una seconda ondata, il tutto senza predisporre un efficace piano di controllo del territorio: “Nonostante gli avvertimenti sistematici e ripetuti attraverso vari canali e le discussioni in diversi forum, stiamo osservando con frustrazione l’arrivo della seconda ondata mentre la clessidra delle opportunità si esaurisce.

Sempre secondo Sadetzki gli elenchi delle attività consentite o proibite cambiavano quotidianamente, spesso con spiegazioni scarse o assenti mentre Netanyahu abbandonava i propositi di annettere a Israele larghe parti della Cisgiordania occupata. Durante questo breve periodo di sole sei settimane, il numero di persone positive al coronavirus in Israele è aumentato del 499%.

Il ruolo della riapertura delle scuole

Tra i principali indiziati per l’aumento dei contagi in Israele ci sono però le scuole, la cui riapertura improvvisa e anticipata avrebbe secondo molti fatto la differenza comportando il fallimento della strategia di contenimento del virus. Nella giornata di martedì 7 luglio il dottor Udi Kliner, vice di Siegal Sadetzki, ha reso noto nell’aula del Parlamento israeliano come a suo dire siano state proprio le scuole, e non le palestre o i ristoranti, a rivelarsi i principali diffusori dei coronavirus nel paese.

Nel corso delle sole tre settimane in cui scuole e asili nido sono stati riaperti su ordine di Netanyahu infatti, sono emersi più di 300 nuovi casi di coronavirus che hanno reso necessario il ritorno alla quarantena per 16mila persone tra studenti e insegnanti. Una repentina riacutizzazione della pandemia che ha costretto il governo ha disporre una nuova chiusura di centinaia di scuole lo scorso 8 giugno. A livello complessivo, su 1.4oo israeliani contagiati dal Covid-19 in tutto il mese di giugno il 46% di essi (cioè 657 persone) lo ha contratto proprio nelle strutture scolastiche.

Proteste a Tel Aviv

Nel frattempo, diversi gruppi di lavoratori autonomi appartenenti a settori economici in difficoltà come quello turistico si sono riuniti a Tel Aviv per protestare contro il governo di Netanyahu e contro le misure di sostegno economico varate da quest’ultimo. Secondo le 10mila persone radunatesi nella serata dell’11 luglio in piazza Rabin infatti, la manovra di Netanyahu sarebbe soltanto una “presentazione carina” ma che la gente al momento ha bisogno di aiuti concreti. Il responsabile dell’Associazione che riunisce i proprietari di bar e locali, Ronen Maili, ha affermato: “Vogliamo vedere i soldi in banca, la fase naif è finita”.