Arriva dal Regno Unito una notizia che dimostra come anche i più giovani possano rimanere vittime delle conseguenze del Covid-19. Lo dimostra la storia della piccola Anna Hendy, una bambina scozzese di otto anni che da oltre otto mesi non riesce più ad andare a scuola a causa del cosiddetto Long Covid: cioè la sintomatologia cronica che continua a colpire le persone contagiate dal coronavirus anche a molti mesi dalla guarigione dalla malattia.
Covid, bambina non va a scuola da otto mesi
A raccontare il calvario della bambina è stata la madre Helen Goss, che intervistata da Metro.uk ha spiegato come lo scorso aprile tutta la famiglia rimase contagiata dal Covid-19. Ad essere maggiormente colpita è stata però la piccola Anna, che durante la malattia ha mostrato diversi sintomi tra cui febbre a 40 gradi, battito cardiaco accelerato, eruzioni cutanee, debolezza muscolare e l’ormai nota perdita del gusto e dell’olfatto.
Una volta guarita però le cose non sono andate per il meglio, con la bambina che continuava a mostrarsi estremamente debole e stanca, soprattutto durante i pochi giorni di scuola che è riuscita a fare nel mese di agosto: “Era così stanca che avrebbe dormito sul suo banco […] Era come un zombie”. La piccola Anna continua inoltre ad avere nausea e frequenti mal di testa a seguito degli strascichi del Covid, che inizialmente la madre – infermiera di professione – aveva imputato a una sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica.
L’impatto sulla salute mentale
La donna ha così preferito lasciare la figlia a casa da scuola, non ritenendola peraltro un luogo sicuro a livello sanitario: “È un vero peccato per le scuole perché sono state messe in una posizione in cui la gente è convinta che siano sicure“. Nel frattempo le autorità locali stanno facendo tutto il possibile per cercare di aiutare la bambina, anche tramite l’aiuto di uno psicologo per l’educazione: “Abbiamo fatto un piano a tappe, ma era così spaventata, la sua ansia è andata alle stelle. Non ci sono solo gli effetti fisici, ma l’impatto sulla salute mentale. […] C’è ancora così poco riconoscimento sul fatto che questo virus possa esistere nei bambini, è frustrante”.