> > Evviva la libera scelta della Ferragni di non allattare, sono una madre e son...

Evviva la libera scelta della Ferragni di non allattare, sono una madre e sono con lei

Chiara Ferragni e le critiche per l'allattamento

Trascorro con mia figlia un tempo che è nettamente inferiore a quello che le dedicavo quando la allattavo ma per questo non mi considero una mamma degenere.

Antefatto, fatto e misfatto

Chiara Ferragni, la più importante fashion blogger al mondo, è diventata madre di Leone meno di un anno fa. La gravidanza è sotto i riflettori del mondo intero sin dal quinto mese di gestazione, con aggiornamenti regolari su andamento generale e complicanze, fino al cesareo anticipato. Per tacere poi della vita del piccolo e ignaro esserino, già dai primi giorni trend setter a sua volta di abiti e accessori, nonché di un armamentario di sorrisi, pianti, gorgheggi e singulti attesi ogni giorno, come le puntate delle serie tv di Shonda Rhimes, da milioni di follower nel mondo. Ma nulla di tutto questo sembra sconvolgere il pubblico più di tanto, quanto la foto che la neomamma – impresaria di se stessa e addirittura studiata a Harvard da illustri economi per la sua lungimiranza negli affari – ha ‘imprudentemente’ postato sul suo profilo Instagram.

Chiara Ferragni

Nello scatto incriminato la donna regge tra le braccia il suo piccolo accanto a una enorme confezione di latte artificiale, al quale confessa di affidare con tranquillità i pasti del suo bambino quando è costretta a lasciarlo per lavoro. Apriti cielo: pubblicizzare latte in formula, di qualsiasi marca, è illegale in Italia, uno dei paesi che sembra aver recepito con incredibile rapidità e severità una normativa europea che tutela e salvaguarda l’allattamento materno come esclusiva fonte di nutrimento del bambino nei primi mesi di vita. Apparentemente questo sembrerebbe l’unico misfatto ascrivibile alla fashion-mamma, che con tutta probabilità ha postato la foto pensando al suo pubblico americano, ignara delle leggi italiane al riguardo, o forse – come potrebbe esser lecito pensare – assolutamente consapevole delle stesse, ma ben più cosciente del famoso adagio che recita “nel bene o nel male, purché se ne parli”.

La foto, immediatamente rimossa dal suo profilo per motivi legali, apre però lo scenario su questioni ben più complesse, poiché nei pochi istanti precedenti la sua cancellazione genera un dibattito senza fine e viene rimbalzata sui siti di informazione più o meno seria del nostro paese, dove innesca l’ormai proverbiale polverone etico-medico sui benefici psicofisici dell’allattamento materno esclusivo almeno nei primi sei mesi di vita del bambino, seguito dall’infinita e immancabile lista di spergiuri all’indirizzo della giovane e snaturata madre, rea di aver consapevolmente interrotto l’allattamento al seno per tornare al suo lavoro, nella convinzione che non ci si debba “annullare per un figlio”. Una dichiarazione certo forte, sicuramente estrapolata da un discorso più ampio e complesso, che è bastata, tuttavia, ad attirare sulla fashion blogger le ire e le frustrazioni di una categoria ampia di tipologie umane: quelli che un figlio ce l’hanno e lo hanno felicemente allattato fino almeno ai 4 anni, quelli che un figlio ce l’hanno e non hanno potuto allattarlo per problemi di varia natura, quelli che un figlio ce l’hanno e per allattarlo hanno rinunciato al loro lavoro, quelle di chi un figlio non lo ha mai avuto ma deve dire la sua ad ogni costo, quelle di chi un figlio non lo può avere e pertanto deve comunque poter dire la sua perché non sai la fortuna che ti è capitata (come se poi il non allattare aggravasse l’altrui personale disgrazia), quelle, infine, di chi un figlio non lo vuole ma deve comunque dare aria alle trombe, perché “se lo hai fatto, allora te lo sciroppi”. Un flagello.

L’allattamento: un’esperienza personale

Quasi tutte le campagne promosse dal nostro governo per sostenere la cultura dell’allattamento al seno lo promuovono come “un gesto d’amore” dagli innumerevoli effetti benefici per la madre e il bambino. E in effetti lo è: l’allattamento è un modo in cui mamme e figli prolungano quel momento di simbiosi corporea così profonda che si è creato tra di loro durante la gestazione, ma non è di certo l’unico possibile. Non è forse un gesto d’amore ogni singolo atto che compiamo nei confronti dei nostri figli? Non lo è ogni parola sussurrata, ogni abbraccio, ogni carezza, ogni veglia notturna e diurna? A spiegare il mistero che rende questo momento uno dei più importanti è però l’elenco dei vantaggi che comporta per la crescita del bambino: il latte della mamma è un portentoso toccasana contro le otiti, la diarrea, le infezioni respiratorie e l’asma e nel tempo ridurrebbe anche il rischio di sviluppare il diabete oltre a portare enormi e imperscrutabili benefici sul corretto sviluppo dell’equilibrio psico-fisico del bambino. Persino le mamme ne trarrebbero giovamento poiché – sempre secondo le campagne governative – allattare “aiuta a perdere peso accumulato durante la gravidanza, riduce il rischio di sviluppare osteoporosi, previene alcune forme di tumore al seno e all’ovaio”. Cos’altro dovrebbe mai dissuadere una donna dall’idea che allattare al seno sia l’unica e incontrovertibile scelta possibile per il benessere psicofisico del proprio bambino? La risposta è una sola, la realtà, perché qualunque sia l’idea di maternità propugnata dai manuali, dai blog, dagli opuscoli governativi, dall’esperienza delle mamme, delle zie, delle amiche, per quanto idilliaca possa essere la nostra aspettativa sulla nostra vita da genitori, quando decidiamo di mettere al mondo un bambino la quotidianità può porci di fronte a situazioni, scelte e stati d’animo che nessun vademecum, nessuna esperienza pregressa e nessuna opinione eccelsa può darci la sicurezza di sapere affrontare. Allattare, infatti, è solo il primo di una serie di cambiamenti radicali che la maternità impone al corpo e alla routine giornaliera di una donna. Già solo imparare le giuste tecniche per favorire la corretta suzione del bambino è un’attività che prevede un dispiegamento di pazienza e dedizione, per non parlare poi del tempo che richiede un allattamento a richiesta, che può portare una donna a trascorrere giornate intere con il seno al vento, nel privato delle proprie abitazioni o sotto lo sguardo spesso indiscreto di perfetti sconosciuti nella condivisione dello spazio pubblico. Allattare è un gesto animale solo apparentemente spontaneo, è un’attività che comporta un dispendio di energie fisiche e psicologiche diverse da donna a donna, che non sempre e non tutte – come ho avuto modo, mio malgrado, di provare sulla mia pelle – ripaga in modo incondizionato e totale. Ho allattato consapevole dell’enorme dono che facevo a mia figlia nutrendola con un alimento inimitabile e insostituibile, ma anche sentendo sulle spalle il sacrificio che la mia scelta mi ha imposto in termini di riduzione della mia libertà personale e professionale e comprendo, senza giudicarla, la scelta di chi si arrende subito a una scelta che comporta una dedizione non sempre ripagata sul piano emozionale. Non mi considero una mamma degenere quando dichiaro di aver provato quelle sensazioni di ineffabile piacere per il contatto con la mia bambina durante la suzione solo nelle prime settimane dell’allattamento, vivendo poi il momento del pasto a richiesta come una limitazione pesante alla mia possibilità di tornare, anche per parte minima della giornata, al mio amatissimo lavoro con una concentrazione adeguata e costante. Anzi, mi sono considerata una mamma migliore proprio quando ho avuto il coraggio di confessare, prima a me stessa e poi a mia figlia, la necessità di riguadagnare i miei spazi. L’amore per me stessa e per il mio lavoro ha davvero prevalso su quello per mia figlia? O forse è vero il contrario, vale a dire che l’amore per mia figlia mi ha spinto a leggere meglio i miei bisogni, a organizzare meglio gli spazi e i tempi che mi avrebbero permesso di essere una mamma migliore, più serena e realizzata?

chiara ferragni allatta

Libertà di scelta e consapevolezza.

La maternità è sicuramente un dono ma è anche l’inizio di una rivoluzione totale del proprio stile di vita, della quale non si ha mai sufficiente coscienza prima che ci si sia effettivamente imbarcati nell’impresa. Ogni esperienza genitoriale ha caratteristiche simili alle altre ma costituisce una storia a sé, legata a fattori che nessuna normativa ministeriale, nessun gruppo di invasate sostenitrici dell’allattamento, nessun tuttologo del web dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare. Se è vero che l’allattamento materno è fonte di imperscrutabili benefici psicologici e caratteriali sui fortunati bambini che possono goderne, c’è forse da pensare che tutti gli acidi commentatori delle scelte altrui siano stati privati delle gioie del seno? Guardo mia figlia crescere ogni giorno con una serenità e una consapevolezza molto maggiore rispetto alle ansie con cui vivevo il rapporto con lei quando la allattavo. Tornerei certo ad allattarla mille e mille volte, ma allo stesso modo cesserei di farlo ricorrendo al latte artificiale nel momento in cui la passione con la quale interagisco con il mondo esterno da donna e professionista mi chiamino a riconquistare i miei spazi, consentendomi così una maternità più felice e consapevole. Sono convinta che, prima ancora che la composizione nutritiva del latte materno, siano i modelli educativi, gli stili di vita e gli stati d’animo con i quali si affronta la vita di ogni giorno ad avere un impatto determinante sul carattere e anche sull’equilibrio psico-fisico dei nostri figli. Cerco di stimolare la mia piccola a ragionare con la sua testa nel rispetto delle idee altrui, la educo ad attenersi alle regole, cerco di insegnarle a mangiare in modo sano ed equilibrato in modo che riesca a imparare delle abitudini che preservino la sua buona salute. Trascorro con lei un tempo che è nettamente inferiore a quello che le dedicavo quando la allattavo, ma sono convinta che si tratti di un tempo di qualità indiscutibilmente superiore ed è esattamente questa nuova consapevolezza positiva e propositiva il tesoro più grande che io possa donarle.