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Libia: il racconto del comandante, 'umiliati e maltrattati, parlavano di scambio prigionieri'

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Mazara del Vallo (Trapani), 20 dic. (Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - "Abbiamo sentito parlare in carcere di uno scambio di prigionieri tra noi e alcuni detenuti libici ma non abbiamo saputo altro. Ne parlavano i detenuti ma i carcerieri non ci dicevano niente. Ci facevano se...

Mazara del Vallo (Trapani), 20 dic. (Adnkronos) – (dall'inviata Elvira Terranova) – "Abbiamo sentito parlare in carcere di uno scambio di prigionieri tra noi e alcuni detenuti libici ma non abbiamo saputo altro. Ne parlavano i detenuti ma i carcerieri non ci dicevano niente. Ci facevano segnale che non dipendeva da loro ma da quelli più in alto di loro e indicavano le stellette militari". Lo ha detto Pietro Marrone, il comandante del peschereccio 'Medinea' uscendo dalla caserma dei Carabinieri di Mazara del Vallo (Trapani) dove è stato interrogato per quasi tre ore dai Carabinieri del Ros sui tre mesi di prigionia in Libia. "All'inizio pensavamo che fosse un sequestro normale – dice – poi abbiamo capito che la cosa era diversa, forse era più una questione politica. Dicevano solo che era una questione Italia-Libia, Italia-Libia, Italia-Libia". E lo ripete per tre volte consecutive. Poi chiede "più vicinanza del Governo". "L'italia ci deve stare vicino", spiega. "Soprattutto per il futuro".

Parlando della carcerazione in Libia, Marrone racconta che i pescatori hanno "subito molte umiliazioni". "Ci mettevano con le spalle al muro – racconta – ci gridavano a pochi centimetri dalla faccia". Poi Marrone racconta cosa accadde la sera del primo settembre scorso quando furono sequestrati da una motovedetta libica. "La motovedetta libica si è avvicinata e i militari libici hanno iniziato a sparare per aria – dice – hanno fatto salire sulla loro imbarcazione i comandanti dei pescherecci".

"Quando hanno iniziato a sparare noi ci siamo fermati subito – dice – hanno chiesto ai comandanti di scendere e ci hanno subito portati al porto di Bengasi". Per i primi "tre o quattro giorni" ci hanno portato in una specie di Ministero. Poi ci hanno portato in carcere. "E' stata durissima – dice – nessuno ci diceva niente. Ci sentivamo abbandonati dallo Stato. Non ci davano alcuna notizia. Per noi era finita. Non ci credevamo più di riuscire a tornare per Natale". Si commuove quando ricorda quel 13 novembre, quando la Farnesina ha permesso ai pescatori italiani di potere parlare con i propri familiari. "Subito dopo ci siamo abbracciati – dice – e pensavamo di essere vicini alla liberazione. Invece ci hanno riportato in un'altra cella".