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Giacimenti di gas in Italia: dove si trovano e dove non possono essere estratti?

Il gas che c'è e non può essere estratto: ecco dove dalla Romagna alla Sicilia

Le sanzioni contro la Russia si sono riversate direttamente contro il settore energetico: l'Italia sta provando ad arrivare ad una propria indipendenza.

Dopo le sanzioni contro la Russia, il settore energetico è stato colpito con l’embargo sul carbone. Mentre, i Paesi dell’Ue si stanno cotinuando a domandare se imporre o meno un embargo anche per il gas importato da Mosca, l’Italia sta valutando le diverse possibilità per raggiungere una propria autonomia energetica.

Il gas che c’è e non può essere estratto in Italia: l’impianto Giulia 

Poniamo, infati, los sguardo sul Mare Adriatico, il quale sembra essere una fonte di gas naturale per il Paese. Stando a ciò che dice Davide Tabarelli, docente universitario e leader di Nomisma Energia, ampliare la produzione interna potrebbe proporre una soluzione ai problemi di approvvigionamento:

“Dai Lidi ferraresi alle Marche, si potrebbero rimettere in moto circa 50 piattaforme pronte a fornire circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno”.

Proprio tra questi giacimenti si trova anche Giulia, circa a 15 km a largo di Rivazzurra: attraverso l’impianto è possibile estrarre risorse recuperabili pari a 600 milioni di metri cubi di gas. L’installazione di questo giacimento risale al 1980, appartiene ad Eni. 

L’impianto Giulia ed il piano no trivelle che blocca l’estrazione di gas

Tuttavia al momento Giulia non è in uso a causa della mancanza di un tubo che lo colleghi alla terraferma. Ma non è l’unico motivo: a questo si aggiunge anche il Pitesai, ossia il “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee“. Esso è un programma, varato dal primo Governo Conte come strategia alternativa alle trivelle ed approvato lo scorso 12 febbraio, per l’esplorazione e produzione di metano. Il documento impone alcuni limiti, che hanno creato alcune difficoltà: su 123 concessioni minerarie, sono ben 108 quelle legate al gas, ma oltre il 70% si trovano in aree definite e non idonee. Per cui, 20 di queste sono state già revocate, invece altre 45 sono ancora in fase di verifica.

Gli ostacoli abbracciano comunque anche gli investimenti in nuovi pozzi: 45, che sono stati presentati, saranno revocati, nello stesso modo 37 istanze sono state rigettate dal ministero per Transizione ecologica in conformità con il Pitesai. Purtroppo, stando ad alcune stime, il piano rischia di far spegnere fino a un miliardo di gas all’anno.

Affrettare i progetti per allentare Pitesai 

Dunque, qualche progetto è recuperabile? Sembrerebbe che qualche piano si trovi sotto il canale Sicilia: lì sono in corso i lavori per il giacimento “Argo Cassiopea”, sempre di proprietà Eni. Al momento, non a caso, è prevista un’accelerazione nell’avvio della produzione, così come per altri impianti situati lungo le coste italiane, come “Benedetta” o “Bonaccia”. 

C’è, infatti, da tenere in considerazione che rispetto a quando il Pitesai è stato emanato, lo scenario storico è molto cambiato, non solo a causa della guerra in Ucraina, bensì anche a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime, che è iniziato molto prima. Si vocifera di un’attenuazione del documento grazie ad un provvedimento finalizzato alla sua deroga: così facendo si prova a non bloccare gli investimenti fatti nel settore.