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Gli slalom di Giorgia e le trappole della storia

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Dopo i problemi grevi dell’affrontare le insidie della delega massima, la Meloni si è trovata a dover fare lo slalom con un calendario che è costellato di “trappole” ideologiche

“Molti calendari moderni guastano la dolce semplicità delle nostre vite col ricordarci che ogni giorno che passa è l’anniversario di un qualche evento perfettamente privo di interesse”. Ecco, Giorgia Meloni ad Oscar Wilde gli farebbe un monumento alla Garbatella solo per questa sua sparata minore che i posteri mettono in casella Google ad uso dei vanesi dei social. Si esagera ovviamente, tuttavia la Meloni con il calendario ha un rapporto decisamente ambiguo e non è colpa sua, non tutta almeno. Il guaio grosso della premier è proprio che è premier, ha vinto le elezioni ed oggi è chiamata più che mai a segnare gli step della storia patria repubblicana con il marchio di un assoluto endorsement ai valori che l’Italia repubblicana si è data del 1948.

E il primo di loro, la Colonna Grossa, è l’antifascismo. Ecco che quindi, dopo i problemi grevi dell’affrontare le insidie della delega massima, la Meloni si è trovata a dover fare lo slalom con un calendario che è costellato di “trappole” ideologiche che la mettono continuamente di fronte all’irrisolta questione della ricusazione del partito da cui si era avviato il cammino sfociato in Fratelli d’Italia. A nulla vale il giochino di un darwinismo etico che vorrebbe noi umani a chiedere scusa per la voracità bruta dei T Rex per quel filino di dna che ci accomuna. Da noi la Storia è unità di misura del presente molto più di quanto non sia legittimo e tant’è, siamo senzienti, opponiamo il pollice e ci tocca.

La vittoria, gli slalom di Giorgia e le trappole

La Meloni ha vinto a settembre, che fatta salva la Marcia su Roma – robetta che l’ha colta ancora con il flute in mano – introduce in quadrimestre abbastanza “neutro” in quanto ad eventi mainstream di questa mistica. Tuttavia le è bastato arrivare a gennaio per trovarsi di fronte la Giornata della Memoria sulle vittime della Shoah. Lì se l’è cavata benino perché l’Italia fascista si sporcò le mani di sangue tantissimo con le Leggi Razziali ma c’è la via d’uscita facile di cazziare i nazisti e lasciar intendere che nel calderone ci siano anche i loro sodali.

Il campo minato inizia con la primavera e non è bastato ignorare (ovviamente) la candelina sanpepolcrista, perché a distanza di cinque giorni è arrivata la prima mina: via Rasella e poi, in eziologia, le Fosse Ardeatine. Premessa: la noia grossa della Meloni non sta solo nel conflitto linguistico irrisolto della ricusazione pubblica dell’antifascismo, ma anche nella sorveglianza strettissima a ché ciò accada da parte di un’opposizione e di un mondo che sul tema sono storicamente fra i più pignoli della galassia. La presenza dei social poi incentiva tutto il concertato, come diceva Guareschi, perché se scrivi un memento sulle 335 vittime e le chiami “italiane” è come se dessi una pacca sul didietro ad un toro Miura in un recinto di otto metri di diametro.

Certo, la Meloni è una maga della ragione in curva boomerang e quando sinistra ed Anpi sono insorte ricordandole che erano “antifascisti, partigiani ed ebrei” se l’è cavata spiegando che essendo tutti e prima di tutto italiani il termine era “storicamente onnicomprensivo”. Ma è fuffa di ritorno, come quando chiedevi a Fonzie di dire che aveva sbagliato e lui se la cavava con un “ho sb…” a denti stretti e chiedeva agli amici di accontentarsi della prima sillaba. L’assist è stato talmente netto che Nicola Fratoianni l’ha messa tra i pali come avrebbe fatto Pasquale Bruno smarcato da Beniamino Vignola: “Un giorno o l’altro riuscirà a scrivere quella parola? Antifascista”.

La difficoltà della Meloni e gli “assist”

Insomma apriti cielo su una faccenda per la quale obiettivamente la Meloni è ancora in difficoltà, poco da fare. E il guaio sta tutto là, in quella concomitanza di fattori a metà strada fra quello che è giusto fare e quello che se non lo fai entra nella coppa amara della tigna pignola di chi le ha prese in urna. Le ha prese, ha masticato amarissimo e adesso ti vuole vedere non blandamente istituzionale, ma repubblicana ortodossa a tutti i costi, pertiniana sempre, comunque, dovunque. E soprattutto malgrado.

Il cancellino incerto sulla lavagna

Malgrado una storia politica su cui Meloni sta usando il graduale ed incerto cancellino dei conflitti irrisolti. E malgrado il fatto che sulla lavagna ci siano segnati a gessetto problemi decisamente più impellenti. Ma in Italia forma e sostanza se la sono sempre giocata in derby e la prima sta ai secondi come la Juve sta, aimè, al Torino. E subito dopo il Pnrr lo slalom della Meloni sull’identità di Giorgia troverà la porta più infida: il 25 aprile.

La stanno aspettando lì. Tutti, e lei lo sa.