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Palazzo Acerbi, la residenza del Diavolo di Porta Romana

Palazzo Acerbi, la residenza del Diavolo di Porta Romana

Palazzo Acerbi è conosciuto dalla tradizione meneghina come la residenza del "Diavolo di Porta Romana", il marchese Ludovico Acerbi.

Il diavolo per vicino. Una circostanza non proprio rassicurante, per i residenti milanesi dell’area di Porta Romana, soprattutto a una settimana dalla fine di Halloween 2018. Eppure la leggenda continua ad aleggiare nei quartieri della città, tanto da ispirare nel 2011 un libro, Gli Angeli di Lucifero, scritto da Fabrizio Carcano. Un mito che la città di Milano si porta fin dal Seicento, l’anno “disgraziato” di cui scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi.

Il diavolo di Porta Romana

Il suo nome era Ludovico Acerbi. Marchese al servizio della corona spagnola, Acerbi si trasferì nel 1600 per curare meglio gli interessi dei suoi padroni nella città. Le cronache del tempo parlano di un uomo dissoluto, sempre dedito allo sfarzo e al lusso. Spesso lo si vedeva passare a bordo della propria carrozza, trainata da 6 minacciosi cavalli neri. Le pompose feste che organizzava erano uno schiaffo alla povertà sempre più imperante nella città, tanto che in poco tempo il marchese fu oggetto del malcontento degli abitanti. Lui però non se ne curava e questo non fece che alimentare la negatività della sua fama. Alla fine, quando arrivò la peste, nel 1630, si diffuse una leggenda, probabilmente ispirata dalla cattiva reputazione di Ludovico Acerbi. Il mito racconta che nel corso dell’epidemia, il nobile continuasse a scorrazzare per la città, a bordo della sua carrozza e che la sua vita dissoluta non fosse cambiata per nulla. Anzi, si racconta che il marchese continuasse a indire feste sontuose, senza che mai i suoi ospiti si ammalassero.

La verità dietro al mito

In realtà il marchese Acerbi morì molto prima dello scoppio della peste, ma il suo palazzo continuò a farsi rappresentante della sua dissolutezza, del suo farsi beffe delle difficili condizioni di vita a Milano. Proprio questa spavalda dedizione allo sfarzo, degna di un uomo che – agli occhi di tutti – se ne infischiava delle circostanze, facendo la bella vita, alimentò la leggenda del “diavolo di Porta Romana”.