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Il primo fiore coltivato nello spazio è sbocciato: è una zinnia

zinnia

Il primo fiore spaziale è sbocciato. Si tratta di una zinnia, una pianta dai fiori colorati e molto diffusi nei giardini. Si tratta di fiori che non hanno la nobiltà delle rose e neppure l'eleganza dei tulipani, ma che, da ora in avanti, entreranno a buon diritto nella storia per essere stati i...

Il primo fiore spaziale è sbocciato.

Si tratta di una zinnia, una pianta dai fiori colorati e molto diffusi nei giardini. Si tratta di fiori che non hanno la nobiltà delle rose e neppure l’eleganza dei tulipani, ma che, da ora in avanti, entreranno a buon diritto nella storia per essere stati i primi ad essere stati coltivati per intero nello spazio, lontano dalla superficie terrestre. A riuscire in questa impresa per nulla semplice è stato l’astronauta Scott Kelly, che, dalla Stazione Spaziale Internazionale dove si trova, ha postato su Twitter una foto della sua zinnia fiorita accompagnandola con la dicitura “first ever flower grown in space makes its debut“, un post destinato senz’altro a diventare parte della definizione stessa di questi fiori.

Le zinnie, d’ora in poi, non saranno più soltanto “un genere di piante appartenente alla famiglia Asteracee”, come recita la voce di Wikipedia, ma anche le prime piante a fiorire nello spazio, come peraltro la stessa voce di Wikipedia già si premura di precisare. In tutto ciò, il merito dell’astronauta Scott Kelly non è per nulla da sottovalutare, perché la zinnia, ad un certo punto, sembrava davvero sul punto di morire, ma Kelly è riuscito a convincere il comando della Nasa a lasciarlo operare in autonomia e lui ha dimostrato di avere quel che si chiama pollice verde, salvando la coltivazione e accompagnandola fino alla storica fioritura.

Per la Nasa, si trattava di un esperimento per valutare il comportamento delle piante all’interno delle stazioni spaziali, dove le condizioni gravitazionali sono molto diverse da quelle in atto sul nostro pianeta, e – non c’è che dire – l’esperimento ha avuto successo, anche nel confermare con spietata chiarezza che, quando si ha a che fare con le piante, esiste sempre una componente soggettiva, mai del tutto eliminabile, forse. Proprio quella che Scott Kelly ha saputo mettere in campo al momento e nel modo giusto.