> > Indagati giudice e funzionaria di Bergamo per i depistaggi sul caso Gambirasio

Indagati giudice e funzionaria di Bergamo per i depistaggi sul caso Gambirasio

La povera Yara Gambirasio

Trapela la notizia per cui sono stati indagati giudice e funzionaria di Bergamo per i depistaggi sul caso di Yara ma sarebbe già pronta l'archiviazione

Sono stati indagati Giovanni Petillo e Laura Epis, rispettivamente giudice e funzionaria della Prima Sezione penale del Tribunale di Bergamo per i depistaggi sul processo scaturito dall’omicidio di Yara Gambirasio avvenuto a fine 2010 a Brembate di Sopra. Petillo è il presidente della sezione e la Epis è la responsabile dell’Ufficio corpi di reato. Sui due si starebbe indagando, a detta del Corsera, per frode processuale e depistaggio. In ballo ci sarebbero le prove con il dna del soggetto sconosciuto rinvenute sul corpo di Yara e sulla scena del delitto.

Indagati giudice e funzionaria di Bergamo

Quelle 54 provette mancanti e “deliberatamente occultate”, in cui sarebbe conservata la traccia genetica dell’assassino di Yara, avrebbero determinato la condanna del muratore attualmente unico e definitivo colpevole riconosciuto del delitto, Massimo Bossetti. Questo almeno sostengono Claudio Salvagni e Paolo Camporini, i legali dell’uomo. Proprio i legali, anche attraverso istanze in Cassazione asseverate in congruità ma poi disattese, avevano denunciato di non aver mai avuto accesso diretto alle tracce di Dna trovate sui leggins e sulle mutandine di Yara. Quelle tracce erano state classificate come di ‘Ignoto 1′ e attribuite a Bossetti. Ma la traccia in questione era inutilizzabile secondo quanto stabilito in dibattimento, perciò quelle 54 tracce aggiuntive avrebbero potuto fare la differenza nell’accertamento delle verità giudiziaria.

La “prova regina” che non c’è più

Insomma, quella su cui qualcuno avrebbe commesso un reato è di fatto la “prova regina” di un dibattimento che ha avuto esiti di condanna anche se aveva proceduto sempre e solo su binari procedurali indiziari. Salvagni e Camporini ritengono che “il materiale confiscato sia stato conservato in modo tale da farlo deteriorare vanificando la possibilità di effettuare nuove indagini difensive”. Da lì la presunzione di dolo e la denuncia alla Procura di Venezia che ha competenza ad esercitare eventuale azione penale sui magistrati di Bergamo. La Procura dal canto suo avrebbe già indagato ma pare, da voci ufficiose, che non si sarebbero elementi per asseverare il comportamento doloso degli iscritti.