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Julian Assange, la Corte di Londra dice sì all'estradizione: cosa succede ora?

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Il giornalista Julian Assange è vicino all'estradizione negli stati Uniti, dove pagherebbe per le accuse di spionaggio: la corte di Londra ha dato l'ok.

La corte di Londra ha dato l’ok all’estradizione negli Usa del giornalista fondatore di Wikileaks, Julian Assange: si aspetta la risposta degli Interni.

Julian Assange verso l’estradizione negli USA

Il rischio di estradizione per Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, si fa sempre più concreto. Il giornalista rischierebbe fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti, dove potrebbe essere processato per spionaggio. L’accusa è quella di aver diffuso documenti riservati sui crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan.

Nell’udienza di oggi, mercoledì 20 aprile, la Westiminster Magistrates Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli USA per il giornalista. Assange ha assistito in videocollegamento dal carcere di massima sicurezza di Belmarsh. 

Ora si aspetta solo l’ultimo passo prima dell’ufficialità: manca l’ok della ministra degli Interni inglese, Priti Patel, che difficilmente si dichiarerà contraria a quanto emesso dalla Corte, anche in virtù dei rapporti tra Londra e Whashington DC.

L’accusa dell’Amnesty International: “Grave violazione ai diritti umani”

La risposta dell’Amnesty International non si è fatta attendere: l’ONG si è dichiarata contraria alla decisione della Corte londinese, sia per quanto riguarda il futuro di Assange, che per la presunta violazione dei diritti civili e umani. Queste le parole di Agnès Callamard, Segretaria generale dell’associazione:

«L’estradizione di Assange avrebbe conseguenze devastanti per la libertà di stampa e per l’opinione pubblica, che ha il diritto di sapere cosa fanno i governi in suo nome. Diffondere notizie di pubblico interesse è una pietra angolare della libertà di stampa. Estradare Assange ed esporlo ad accuse di spionaggio per aver pubblicato informazioni riservate rappresenterebbe un pericoloso precedente e costringerebbe i giornalisti di ogni parte del mondo a guardarsi le spalle».