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L'allarme di Confindustria: cresce il rischio stagflazione per l'Italia

L'allarme di Confindustria sulla stagflazione

Per quale serie di fattori sta crescendo il rischio stagflazione per l'Italia e perché c'è una situazione "ad incastro" che ci fa rischiare moltissimo

Come previsto anche dai report precedenti per l’Italia arriva l’allarme di Confindustria per cui cresce il rischio stagflazione come effetto della crisi e dell’aumento dei prezzi. Da Viale dell’Astronomia arriva una impietosa analisi sul futuro economico del nostro paese con la luce rossa sulla stagnazione per l’economia italiana. I dati parlano di industria è in calo, costruzioni che hanno smesso di trainare e di servizi che tengono. Con che effetto? “L’inflazione ai livelli massimi e persistente frenerà i consumi, che finora sono stati sostenuti dall’extra-risparmio accumulato, mentre il rialzo dei tassi scoraggia gli investimenti e ‘zavorra’ i bilanci delle imprese”. 

Cos’è il rischio stagflazione per l’Italia

Il Centro studi di Confindustria è impietoso ed evidenzia tra l’altro come a pesare siano “l’incertezza sulle prospettive e il caro-energia, che potrebbe assorbire ulteriore extra-risparmio”. Ma cosa potrebbe succedere quindi? Una accelerazione della stagnazione. Ecco i dati: il crollo dei consumi dal 2020, forzato dalle restrizioni anti-Covid, ha “generato un aumento senza precedenti del risparmio delle famiglie. Tra il primo trimestre 2020 e il secondo trimestre 2022 si calcola un ammontare di extra-risparmio accumulato in Italia di circa 126 miliardi di euro (7% del Pil)”. 

I tre motivi che frenano le risorse

Insomma, il Centro studi di Confindustria spiega che l’ammontare di tali risorse è in linea con la media dell’Eurozona (7,3%, 900 miliardi). Tuttavia però lo stesso è inferiore rispetto a quanto registrato negli Usa, dove ha raggiunto il 12% del Pil, favorito anche da sostegni pandemici molto generosi. Poi ci sono i tre motivi per cui le risorse che potranno alimentare i consumi sono molto minori: diseguali in distribuzione, accumulate maggiormente dalle famiglie ad alto reddito e poi in parte investite o erose dall’inflazione.