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L’eredità di Gino Strada un anno dopo la sua morte

Gino Strada

La forma e la sostanza che ha preso l’eredità di Gino Strada un anno dopo la sua morte condensate nelle pagine di un testamento morale e "pratico"

Una grandezza che stava tutta nell’essere e sentirsi più piccolo della sua missione: ecco l’eredità di Gino Strada un anno dopo la sua morte, con il fondatore di Emergency che rivive in un toccante libro di cui ha parlato la moglie Simonetta Gola. E Simonetta su Repubblica ha parlato di una “eredità pratica prima di tutto: una serie di progetti grandi, realizzati e da realizzare. Emergency sta facendo un grande sforzo per andare avanti senza di lui”. 

L’eredità di Gino Strada un anno dopo è un libro

E ancora: “Credo che l’eredità vera sia l’idea che il mondo si può cambiare, che vale la pena di continuare a crederci e a fare quello che è giusto, anche quando è difficile. Una persona alla volta, appunto”. Un anno dopo la tragica scomparsa del chirurgo il libro che parla della sua missione ha un titolo che quella missione la riassume benissimo: “Una persona alla volta”. Ha spiegato Simonetta: “È un libro di lotta, in cui Gino mette insieme le due cose che aveva capito nella vita: che la guerra non si deve fare mai e che la salute è un diritto universale. Quel titolo l’abbiamo scelto una sera a cena, con gli amici e i colleghi di Emergency: è una frase della postfazione, ci sembrava che riflettesse al meglio quello che ha fatto Gino. Salvare il mondo una persona alla volta, appunto”. 

“Ucraina? Gino odiava la guerra in sé”

Non poteva mancare il tema della guerra in Ucraina: “Nessuno dubita su chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, ma Gino pensava che la guerra non ha senso in generale e soprattutto in un momento in cui sul tavolo ci sono strumenti di autodistruzione come quelli di cui dispone oggi l’umanità. Serve un modo di pensare diverso”. Poi una chiosa più personale: “Continuo a guardare la foto, quella che abbiamo diffuso dopo la sua morte: a lui piaceva molto perché in quello scatto riconosceva sé stesso in pieno. Aveva raggiunto la consapevolezza di chi era, di quello che aveva fatto, di ciò che voleva. Diceva che era in pace con sé stesso. Non è una cosa da tutti. Questo pensiero mi ha aiutato a convivere con la sua morte”.