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La commemorazione della strage di via D’Amelio non è solo un momento di tristezza collettiva, ma un palcoscenico su cui si svolgono le più varie strumentalizzazioni politiche. Diciamoci la verità: non basta commemorare Borsellino e Falcone per dimostrare una reale volontà di combattere la mafia. Le parole dei leader politici, per quanto toccanti, rischiano di diventare un mero esercizio di retorica se non accompagnate da azioni concrete e coerenti.
Ecco perché, a 33 anni dalla strage che ha cambiato per sempre il volto della giustizia in Italia, è fondamentale analizzare ciò che realmente accade.
Il peso delle parole: simbolismo e ipocrisia
Ogni anno, in occasione di questa triste ricorrenza, assistiamo a un balletto di dichiarazioni da parte di istituzioni e partiti. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, così come la premier Giorgia Meloni, si fanno portavoce di un messaggio di impegno contro la mafia. Ma la realtà è meno politically correct: quanto di ciò che dicono si traduce in azioni concrete? La morte di Borsellino e dei suoi agenti, come ricordato dallo stesso Capo dello Stato, è stata un tentativo eversivo di piegare le istituzioni democratiche. Eppure, mentre i leader politici si stringono attorno al suo ricordo, le stesse istituzioni che dovrebbero garantire giustizia vivono tensioni interne e conflitti di interesse che minano la loro credibilità.
È facile piangere un martire, ma è ben più difficile onorarne la memoria con scelte politiche che realmente affrontano la criminalità. Questo è il paradosso: celebriamo un uomo che ha dato la vita per la giustizia, mentre le riforme necessarie per la sua attuazione vengono spesso ostacolate da giochi di potere. E ciò che più sorprende è il silenzio assordante sulle politiche sociali: come possiamo combattere la mafia senza investire in cultura, istruzione e sostegno alle comunità?
Politica e mafia: un legame ancora non spezzato
La lotta alla mafia non può limitarsi a due date nel calendario. Eppure, le parole di esponenti politici come Nicola Fratoianni non sono del tutto infondate: in effetti, sembrano esserci periodi in cui il governo dimentica il problema, dedicandosi invece a cercare di imbrigliare la magistratura. Questo non è solo un problema di retorica, ma un serio rischio per la democrazia. Se il governo si è impegnato a fare riforme, lo ha fatto soprattutto per scopi elettorali e non per la reale ricerca della verità.
La separazione delle carriere, sostenuta da Fratelli d’Italia, è vista da alcuni come un atto di giustizia, mentre altri, come i 5 Stelle, denunciano i continui depistaggi nella lotta alla mafia. È evidente che esiste una frattura profonda tra le diverse visioni politiche, ma è altrettanto chiaro che, indipendentemente dalle appartenenze, la ricerca della verità dovrebbe essere l’unico obiettivo comune. Tuttavia, nel contesto attuale, sembra quasi che i politici si ricordino di Borsellino solo per fare propaganda.
Conclusioni scomode: la memoria che disturba
Quello che emerge è un quadro inquietante: un Paese che commemora i suoi martiri senza aver realmente compreso l’importanza del loro sacrificio. La memoria di Paolo Borsellino non può ridursi a una semplice celebrazione annuale. Dobbiamo chiederci se le parole pronunciate dai nostri leader si traducano in impegni tangibili nella lotta alla mafia. In un’epoca in cui i discorsi si intrecciano con le strategie politiche, è fondamentale mantenere vivo il pensiero critico.
Il re è nudo, e ve lo dico io: se non si agisce con determinazione per sradicare la mafia dalle istituzioni, il sacrificio di Borsellino e di tanti altri sarà vano. Ricordare Borsellino significa non solo onorarne la memoria, ma anche impegnarsi a costruire un futuro in cui la giustizia prevalga, non solo nelle parole, ma nei fatti. E questa è una responsabilità che spetta a ciascuno di noi.