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La superstizione è il nostro modo di ammettere che non abbiamo tutte le risposte alle nostre domande

superstizione

Dopo millenni di evoluzione siamo ancora alle prese con gli stessi timori e gli stessi interrogativi. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il mio scopo nel mondo? C'è un senso a tutto questo o l'intero cosmo è governato dal caos?

Non ci credo, ma intanto ascolto l’oroscopo ogni mattina alla radio andando al lavoro. In treno consulto un’app che mi legge la carta astrale e mi dà consigli su come affrontare meglio la giornata. Non passo sotto le scale, in casa non apro l’ombrello né lascio il cappello sul letto, costringo tutti i miei amici (purché non siamo in tredici a tavola, ovviamente) a fissarmi negli occhi al momento del brindisi e se vedo un gatto nero cambio strada. Perché, come diceva il grande Eduardo De Filippo, “essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male“.

Lo facciamo in tanti, anzi, sempre di più. Chi apertamente, chi di nascosto, perché in fondo – sosteneva Lev Trotzky – “nessuno è più superstizioso degli scettici“. Anche chi alza gli occhi al cielo davanti a cornetti rossi e carte astrali, qualche volta lo fa per guardare le stelle e chiedere loro silenziosamente cosa il futuro ha in serbo per lui.

Perché in fondo tutti ne abbiamo una stramaledetta paura, di questo futuro fumoso e incerto che si staglia davanti a noi. Buio e minaccioso come la notte, impenetrabile e imperscrutabile come il meglio custodito dei segreti. E a noi, così abituati ad avere (o almeno cercare di avere) il totale controllo sulle nostre vite, questa incertezza spaventa da morire. Superstizione e pregiudizi non sono altro che una forma di paura, anzi, di risposta alla paura. Sono il cordone ombelicale che ci connette alla nostra parte più primitiva e animale.

La superstizione, così come la religione, è il nostro modo di ammettere che non abbiamo tutte le risposte alle nostre domande. Che dopo secoli, millenni di evoluzione siamo ancora alle prese con gli stessi timori e gli stessi interrogativi di quando siamo scesi dagli alberi e abbiamo cominciato a camminare in posizione eretta. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il mio scopo nel mondo? Perché soffriamo e moriamo? C’è un senso a tutto questo o l’intero cosmo è governato dal caos?

E quando il caos sembra prevalere sull’ordine, ecco che ancora più forte si fa la spinta a rivolgersi a Dio o alle stelle. In periodi di forte incertezza, come una pandemia che ha sconvolto il mondo o una guerra alle porte di casa, è consueto cercare di dare un senso a questi eventi e spesso le spiegazioni sovrannaturali sono quelle – irrazionalmente, in fondo lo sappiamo – che più ci soddisfano e ci danno più sollievo. Perché ci coccolano, ci rassicurano, ci trasmettono l’idea di un destino a cui tutto tende e ci fanno sentire parte di una comunità, avvolti da un filo che ci lega agli altri e ai movimenti dei corpi celesti, in un’unica e ultraterrena danza. Per sentirci, almeno per un secondo, un po’ meno soli, un po’ meno persi in questo universo.