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Lavoro: Consulenti, dopo dimissioni volontarie in 500mila rimasti senza un contratto

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Roma, 18 feb. (Labitalia) - Sono un milione e 81mila i dipendenti italiani che nei primi nove mesi del 2021 hanno deciso di lasciare volontariamente il lavoro e quasi uno su due, dopo aver rassegnato le dimissioni, non ha più un contratto attivo perché è alla ricerca di un&rsquo...

Roma, 18 feb. (Labitalia) – Sono un milione e 81mila i dipendenti italiani che nei primi nove mesi del 2021 hanno deciso di lasciare volontariamente il lavoro e quasi uno su due, dopo aver rassegnato le dimissioni, non ha più un contratto attivo perché è alla ricerca di un’altra occupazione, per aver deciso di avviare un’attività in proprio o per scelte di vita diverse. Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con l’indagine 'Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo lavoro', basata sui dati delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, analizza il fenomeno della cessazione volontaria del rapporto di lavoro, che appare trasversale sotto diversi punti di vista.

Il confronto tra i primi tre trimestri del 2019 e del 2021 evidenzia, infatti, che i dimissionari non sono solo giovani, con un basso livello di istruzione e residenti al Nord, ma che c'è un incremento tra i segmenti tradizionalmente meno interessati, in particolare adulti, laureati e tutti i lavori qualificati. "Il fenomeno delle dimissioni volontarie non è nuovo per la realtà italiana, ma lo è il suo incremento", afferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del lavoro.

"Capiremo solo nei prossimi mesi la vera portata, soprattutto rispetto alle motivazioni, visto che non è possibile stimare all’interno della quota di lavoratori dimessi e non rioccupati quanti potrebbero aver deciso di avviare un’attività in proprio, essersi occupati irregolarmente o più semplicemente aver deciso di smettere di lavorare", spiega. "Ancora una volta emerge, tra l’altro, che le maggiori opportunità di rioccupazione riguardano quei profili tecnici e specializzati dove è più alto il divario domanda/offerta, mentre i più penalizzati nella ricollocazione successiva sono i lavoratori a basso tasso di formazione e occupazione. È urgente investire su queste direttrici per adeguare le competenze alla nuova realtà che ci troviamo a vivere nel post-pandemia", conclude De Luca.