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Le canzoni più belle di De Andrè

le canzoni piu belle di de andre

Non possiamo sapere se, a differenza di Bob Dylan, si sarebbe presentato a ritirare il Nobel se l'avesse vinto, ma Fabrizio De Andrè è pura poesia in musica Davvero arduo il compito di elencare le canzoni più belle di un cantautore immenso quale è stato Fabrizio De Andrè, ma noi ci proviamo, s...

Non possiamo sapere se, a differenza di Bob Dylan, si sarebbe presentato a ritirare il Nobel se l’avesse vinto, ma Fabrizio De Andrè è pura poesia in musica

Davvero arduo il compito di elencare le canzoni più belle di un cantautore immenso quale è stato Fabrizio De Andrè, ma noi ci proviamo, soprattutto a beneficio dei giovanissimi, quelli nati dopo il 1999, anno della sua prematura scomparsa, che non hanno avuto la fortuna di poterlo ascoltare o vedere i suoi concerti quando ancora era in vita.

Non considerate questa una classifica: vi suggeriamo quelle che riteniamo più rappresentative, in rigoroso ordine sparso, tranne forse per la prima che ci viene in mente, La canzone di Marinella. Non tutti saranno d’accordo, ma per chi scrive questa è la canzone più emozionante mai scritta da Faber: senza addentrarci troppo nel merito del testo, vi diciamo che racconta la storia di una ragazza che muore cadendo in un fiume, mentre torna a casa dopo aver conosciuto l’amore. Sia musicalmente, che come struttura, è una ballata che sarebbe stata bene sulle labbra di un cantastorie medievale: ne esiste una cover magnificamente interpretata da Mina ed una registrazione in duetto tra la stessa Mazzini e De Andrè che è assolutamente da pelle d’oca.

La guerra di Piero, descrive l’angosciante situazione in cui si trova un soldato, costretto a scegliere tra la sua vita e quella del nemico: la struggente metafora del sangue che si confonde con i papaveri rossi racchiude in sé tutta la poesia di questa canzone, ispirata dal ricordo di uno zio di Faber, che fu internato in un lager nazista durante la II Guerra Mondiale.

Geordie, invece, è l’adattamento in italiano di una canzone tradizionale anglosassone, risalente al XVI secolo: un ragazzo ruba dei cervi al suo re per rivenderli e, accusato di tradimento, viene impiccato con una corda d’oro: nemmeno il sovrano può impedire l’esecuzione di Geordie, per non andare contro le leggi ormai scritte. Una parte del testo è stata utilizzata in un rifacimento in chiave italo-dance dal dj Gabry Ponte (ex Eiffel 65) nel 2002.

La Ballata dell’Amore cieco (o della Vanità), pur essendo musicalmente brillante, ha delle liriche molto drammatiche ed è ispirata ad una poesia di Jean Richepin. Una donna spietata obbliga l’uomo che si innamora di lei ad annientarsi completamente, fino alla morte, per poter meritare il suo amore.

La canzone dell’amore perduto, dedicata alla prima moglie di Fabrizio, Enrica Rignon, madre di Cristiano, descrive la dignitosa rassegnazione di una donna davanti alla perdita dell’uomo che ama, che ha deciso di lasciarla e vivere una nuova vita senza di lei. L’hanno interpretata, tra gli altri, anche Antonella Ruggiero, Gino Paoli, Claudio Baglioni, Franco Battiato ed il compianto Mango.

Bocca di rosa denuncia invidia e bigottismo delle comari di un sobborgo della città di Genova, Sant’Ilario, all’arrivo in paese di una bella ragazza, che vive l’amore in maniera disinvolta, rappresentando una minaccia al loro status quo di mogli e madri.

Via del Campo si ispira parzialmente a quello che negli anni ’60 era un tabù insopportabile, quello del travestitismo legato all’omosessualità: chi lo praticava, come il trans Morena, trovava rifugio solo nella malfamata viuzza genovese che dà il titolo alla canzone. Un escamotage per esprimere vicinanza a tutti i reietti della società.

Il Pescatore narra la storia di un incontro fortuito che si trasforma in un’amicizia leale tra un pescatore, – appunto -, ed un assassino: quest’ultimo, ricercato dai gendarmi, gode del silenzio del saggio “lupo di mare” che, quando lo interrogano per sapere se abbia visto l’omicida, decide di non tradirlo, lasciando che provi a rifarsi una vita.

Ne il Testamento di Tito, De Andrè inventa di sana pianta il punto di vista di uno dei ladroni crocefissi accanto a Gesù Cristo sui 10 Comandamenti, fondamento della religione Cristiana: la visione nel supplizio è provocatoria e dissacrante, un dito puntato contro l’ipocrisia di chi pretende che siano solo gli altri a rispettare le regole.

Creuza de Ma è, invece, cantata interamente in dialetto genovese, così come tutto l’album in cui è inserita e parla del “viottolo di mare” dove si incrociano le vite dei marinai che tornano a riva di notte, come dei ladri.

In dialetto, ma questa volta napoletano, è infine Don Raffaè, che parla della malavita che regna sovrana a causa di uno Stato impotente e della situazione difficile delle carceri nel nostro Paese. Ne esiste anche una versione in duetto con Roberto Murolo.

Le altre lasciamo che siate voi stessi a scoprirle, una per una: sarà un percorso affascinante tra le note e tra i versi di uno dei nostri massimi poeti moderni, in un connubio perfetto tra musica e parole, riuscito a pochi altri.

Note: le immagini dell’articolo, ad esclusione di quella di copertina, sono state gentilmente concesse dalla fotografa Monia Uboldi.