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"Le mura di Bergamo", docufilm come memoria della tragedia Covid

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Roma, 23 mar. (askanews) - Dopo l'anteprima mondiale al Festival di Berlino, arriva al cinema (dal 23 marzo) "Le mura di Bergamo", docufilm di Stefano Savona che ci riporta indietro di tre anni esatti, a marzo 2020, all'arrivo della pandemia di Covid-19 in Italia, concentrandosi su Bergamo, città...

Roma, 23 mar. (askanews) – Dopo l’anteprima mondiale al Festival di Berlino, arriva al cinema (dal 23 marzo) “Le mura di Bergamo”, docufilm di Stefano Savona che ci riporta indietro di tre anni esatti, a marzo 2020, all’arrivo della pandemia di Covid-19 in Italia, concentrandosi su Bergamo, città duramente colpita.

“Abbiamo pensato che le mura di Bergamo sono tutte le persone che in quel momento non si sono fatte abbattere da quello che stava succedendo, hanno tenuto insieme il tessuto della città, parlo di medici, volontari, di coloro che mentre tutti gli altri dovevano stare chiusi in casa dovevano andare in giro e rischiare anche moltissimo per tenere insieme questa comunità che rischiava di esplodere; una comunità che ha subìto tantissimi lutti ma ne avrebbe subìti di più se queste persone non si fossero mobilitate e non fossero rimaste in piedi proprio come le mura di una città”.

Savona, con sette suoi ex studenti della scuola del documentario, ha pensato di fare un film collettivo, sulla città intesa come “corpo” malato. Il covid, ha detto, “ha messo in dubbio la natura stessa del corpo città, la città che ci protegge diventa invece il luogo che ci fa ammalare, perché gli altri possono farci ammalare”.

Nel documentario si vedono medici, volontari, pazienti e i loro parenti, si rivivono scene negli ospedali che sembrano lontane anni luce. “Dall’inizio abbiamo trovato molte persone che sono diventate i protagonisti che hanno capito che nonostante fosse un po’ più scomodo lavorare con la nostra presenza, questa documentazione da una parte li proiettava nel dopo, a quando questa cosa sarebbe finita, poi a mantenere memoria di qualcosa che era talmente grande che erano convinti che un giorno la gente non avrebbe creduto che questa cosa era successa”.

Hanno ripreso tutto per un anno e mezzo, restando con i protagonisti per documentare anche il processo collettivo di elaborazione del trauma. Oggi sulla gestione della pandemia a Bergamo c’è anche un’inchiesta. Il film non giudica. “Chi ha perso qualcuno o chi si è trovato a lavorare in condizione estreme vuole che la giustizia faccia il suo corso e si trovino le responsabilità che personalmente ritengo ci siano state, sia politiche che organizzative; detto questo il film cerca di aiutare a costruire lo spazio alternativo del lutto condiviso, è più facile a volte cercare responsabilità esterne che chiedersi internamente cosa mi è successo”.