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Sara Melotti, influencer alla ricerca della (vera) bellezza

Sara Melotti, influencer alla ricerca della bellezza

Sara Melotti, fotografa e influencer, si racconta: dalla battaglia contro le frodi di Instagram alla ricerca della bellezza autentica.

Sara Melotti parla con l’entusiasmo di chi vive con passione e crede in quello che fa. È tesa mentre ripassa il discorso che a distanza di poche ore dovrà tenere alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in occasione della VII Giornata Mondiale delle Bambine e delle Ragazze. Insieme a Veronica Yoko Plebani, Nina Zilli, Giuseppe Foglia e tanti altri, è uno dei volti scelti da Terre des Hommes per raccontare la propria storia. La sua parla di un’aspirante ballerina che ha lasciato tutto per inseguire il suo sogno, fino in America, passando dai miraggi di Los Angeles alla spietata New York. Un giorno ha scoperto la passione per la macchina fotografica e ha deciso di farne un lavoro a tempo pieno. Ha fotografato donne e ragazze, si è fatta un nome nel mondo delle riviste di moda. Fino a quando, davanti alle pose troppo provocanti di una modella 14enne, tutto è cambiato.

Sara Melotti alla ricerca della vera bellezza

“Ho sentito che qualcosa, dentro di me, si era rotto per sempre“, spiega, emozionata, dal palco. “Mi sono resa conto che tutte le mie amiche dicevano cose orribili sul proprio corpo. Ricordo che un giorno, davanti allo specchio, ho pensato: ‘Vorrei tanto potermi photoshoppare la faccia‘. Lì ho capito che non potevo più continuare”. Ha lasciato il mondo della moda e non è più tornata indietro. Dal bisogno di mettere il suo talento al servizio di qualcosa di diverso sono nati il progetto Quest for beauty e i viaggi in solitaria. Con una domanda a cui dare risposta: cos’è, per le donne, la vera bellezza?

“Per me, la bellezza è un’emozione“, racconta Sara. “Quando vedo qualcosa di bello è perché mi tocca dentro, sento come una scintilla. Non la provo mai guardando una rivista di moda”. È una risposta che ha ascoltato dalle bocche di tante donne, nei tredici Paesi in cui la sua ricerca l’ha condotta. “Capita spesso che dicano: un sentimento, un’emozione, la bontà. Anche Dio, soprattutto in Paesi dalla forte spiritualità come l’India. Nessuna mi parla di estetica, non dicono mai: ‘La donna con le forme al posto giusto e gli zigomi alti’. Ti fa pensare. Se neanche una donna crede che la bellezza corrisponda a un canone estetico, forse bisogna cambiare qualcosa nell’immagine del bello che ci viene imposta”.

L'intervento di Sara Melotti

La trappola delle immagini

Da dove nasce, allora, l’ossessione per l’esteriorità? “La bellezza è usata dai media per trasformarci in consumatori perfetti. Elena Rossini lo dimostra nel documentario The Illusionist. È qualcosa di spaventoso. Chi non ha lavorato in queste industrie non sa cosa c’è dietro e non può proteggersi. Tutti noi veniamo bombardati quotidianamente da immagini di donne bellissime. A fine giornata, ti senti inadeguato. Quando si entra in questo loop, la nostra autostima finisce sotto i piedi. E quando l’autostima è bassa non riusciamo a realizzarci, perché quando viene a mancare la fiducia in noi stessi manca anche il coraggio di realizzare i propri sogni“.

Sara Melotti a Stand Up For Girls

La scomoda verità dei social media

Sara Melotti è abituata alle battaglie contro i mulini a vento. Lo è da quando, nell’aprile 2017, con il post Instagram created a monster sul suo blog Behind the quest ha svelato cosa si cela dieto lo scintillante mondo degli influencer. Le sue rivelazioni “hanno avuto così tanta risonanza perché ho usato il termine ‘mafia‘. I giornali italiani ed esteri mi hanno descritta come un’influencer pentita“.

A un anno di distanza, è arrivato il secondo articolo. “Un testo molto più serio, con più prove di quanto volevo dimostrare. Eppure ne ha parlato solo Il Giornale. Tutte le altre testate mi hanno risposto che sono cose che sanno tutti, ma non è così. Oggi quasi tutti gli influencer sono finti. Alcuni hanno iniziato con una base vera e poi si sono trovati in un loop per cui o imbrogli o scompari. È facile capire chi gioca secondo le regole e chi no: se cresci in fretta, stai imbrogliando. Semplice. Eppure, gli influencer finti lavorano comunque, e tanto, perché le grandi aziende puntano più all’immagine che al contenuto“.

È la frustrazione di chi ha provato a cambiare le cose e vede il mondo andare nella direzione opposta. “C’è sempre più gente che vuole fare l’influencer, pur non avendo niente da dire e niente da far vedere. Quindi deve ricorrere per forza a queste strategie. In tanti hanno letto il mio primo articolo e l’hanno usato come manuale per crearsi un account da zero. In un anno sono arrivati a decine di migliaia di follower”.

È proprio ai follower – quelli reali, che preferisce chiamare “la gente dall’altra parte dello schermo” – che Sara sente di dovere tutto. “Cerco di rispondere a tutti i commenti e a tutti i messaggi che mi arrivano. È una cosa a cui tengo, una questione di principio. Cerco l’interazione, non voglio usare gli altri per riempirmi l’ego e il portafogli”.

I protagonisti di Stand Up For Girl

“Ask a local”, sulle orme di Bourdain

Davanti alle frodi e all’avanzata dei falsi influencer e contro il gigantismo dell’ego, per Sara l’unico argine è l’atto creativo. “Cerco di ragionare da artista. Non sei tu quello che conta, è il tuo lavoro. Quindi, fallo. Fai qualcosa che valga la pena di essere visto e mostralo al mondo“.

Sara è instancabile, passa da un progetto all’altro. Non fa in tempo a scendere da un aereo che ha già la valigia pronta per salire sul successivo. Quella del suo ultimo viaggio in Nepal, al fianco di Action Aid, è ricca di ricordi di un’esperienza “piena di umanità”. Proprio a Kathmandu ha girato l’episodio pilota di una serie di viaggi a cui sta lavorando come produttrice, sulle orme di Anthony Bourdain. “La serie si chiamerà Ask a local“, spiega, “perché vogliamo mogliamo mostrare il Paese tramite gli occhi di chi ci vive”.

Un'immagine di Sara Melotti dal viaggio in Nepal

Presto Sara Melotti tornerà in India per lavorare a un libro dal titolo provocatorio: Fuck you, I’m an artist. “È un attacco a chi, soprattutto in Italia, sconsiglia di intraprendere la carriera artistica perché è poco remunerativa e non garantisce il posto fisso. A nessuno importa dell’arte, dicono. Ma non è così. La vita non è quello che ci mettono in testa: nasci, paga i conti e muori. C’è molto, molto di più“.