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Odio, razzismo, sessismo: chi sono i veri odiatori seriali dei social

Odio, razzismo e sessismo online

Quello di Martina Mondini, insultata insieme al suo fidanzato di colore sui social, è solo l'ultimo di una serie di episodi di odio sul web.

Non serve essere iscritti al Partito Democratico – ne tantomeno essere sostenitori accaniti di Laura Boldrini – per capire che siamo di fronte ad una profonda crisi di valori che sembravano acquisiti e consolidati verso la fine del secolo scorso. Con l’avvento di Internet e con i bar sport trasformatisi in pagine Facebook, sono cambiate (e regredite) persino le regole d’ingaggio di una conversazione. Sì perché dietro al black mirror ci si fa più coraggiosi, più forti, si diventa leoni da tastiera capaci di affrontare chiunque e di dire qualunque cosa, pensando di rimanere impuniti. Grazie a questa assuefazione da libertà di parola, i social hanno oramai sdoganato l’aggressione come modalità di ingaggio di una conversazione: non la penso come te, ti mando pubblicamente al diavolo e ti offendo. Solamente nell’ultimo mese, sono ben tre le aggressioni social che hanno fatto notizia e suscitato indignazione: quella a Mahmood, reo di essere italo-egiziano e di aver vinto il festival di Sanremo, quella di Emma Marrone, colpevole di aver detto “Aprite i porti” durante un suo concerto e l’ultima, ma non per importanza, quella a Martina Mondini e al suo ragazzo di colore, Joe.

La perdita dei freni inibitori

Se una bella ragazza mi passa di fianco, mi guardo bene dal fischiare o da fare un commento su di lei ad alta voce; sui social invece questo commento ad alta voce posso farlo eccome, protetto dallo schermo, nella mia cameretta, trovando con grande probabilità molte persone che commenteranno come me gli attributi di quella bella ragazza. Se penso che le persone di colore siano simili alle scimmie, come direbbe davvero qualcuno, mi guardo bene dal dirglielo in faccia, onde evitare un destro ben piazzato sul mio naso; ma poco importa perché tanto posso esprimere tutto il mio disprezzo sui social, dove tutto è concesso. Se uno esprime un’opinione sui social e non la pensa come me, posso: discuterci nel merito e argomentare pacificamente, oppure partire con una raffica di insulti per semplificare le cose, magari senza nemmeno aver compreso quell’opinione. Se ho deciso che mi stanno sulle scatole gli ebrei – ma non posso dirlo al lavoro perché non è comunemente accettato essere antisemita – bhe, posso sempre dar fondo al mio odio sui social, dove troverò qualcuno che per un motivo o per l’altro mi spalleggerà. Se penso che i napoletani puzzino, o le donne siano buone solo a cucinare e a sfornare eredi, non potrò certo dirglielo in faccia! Ma sui social sì. Sui social si può tutto, apparentemente.

I gruppi Facebook sono fight club

Un fenomeno social interessante dal punto di vista delle dinamiche di odio, è quello dei gruppi cittadini. Faccio un esempio, un noto gruppo dell’area del nord ovest milanese, chiamato “SE SEI DI RHO…” risulta essere un ricettacolo di violenza e scontri. Dovrebbe essere un gruppo di scambio di opinioni tra concittadini per poter risolvere, o almeno far presenti, i problemi della città e invece è stato trasformato in una vera e propria arena. La dinamica è la seguente: viene pubblicato un post; si creano due fazioni, una a favore e una contro l’affermazione del post; dopo i primi 15 commenti il senso della discussione si è smarrito e si è passati solo agli insulti personali, insulti che di persona mai si avrebbe il coraggio di ripetere.

Sarebbe quindi riduttivo limitarsi a dire che sono solo i followers di Salvini o di Trump sui social che prendono di mira i loro contestatori e li fanno a pezzi verbalmente con i peggio insulti e ingiurie. No, quello dell’odio è un fenomeno molto più profondo che deriva da una pseudo idea di libertà acquisita e dalla rottura dei freni inibitori di chi, sui social network è capace di prendersela anche col papa in persona, ma poi nella vita reale, per fortuna, non farebbe del male nemmeno a una mosca.

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Il ritorno all’odio: un fenomeno globale

Facebook, YouTube, Twitter, WhatsApp e Instagram sono diventati sempre di più elementi ordinari nella vita delle persone in tutto il mondo.Tuttavia, il tasso di crescita esponenziale sperimentato da queste tecnologie digitali negli ultimi quindici anni ha anche contribuito all’ondata di incitamento all’odio. Una forte prova di questa affermazione è che diversi importanti attori sociali in molti paesi, come in Italia, hanno chiesto pubblicamente che le aziende dietro queste piattaforme social media facciano di più per affrontare questo drammatico fenomeno in crescita. Inoltre, da uno studio recentemente pubblicato, emerge che eseguendo un’analisi di frequenza delle parole in 506 edizioni di cinque dei principali giornali e magazine al mondo tra cui The Guardian, Time e The Week, è possibile identificare che l’incitamento all’odio è stato citato 632 volte dal 1993 al 2018. Questa analisi rivela che l’incitamento all’odio è diventato sempre più il soggetto delle notizie, in particolare dal 2012 in poi, quando Facebook ha raggiunto un miliardo di utenti mensili attivi. Il 92,6 percento delle citazioni di incitamento all’odio nella pubblicazione selezionata è infatti concentrato nel periodo 2012-2018, mentre il restante 7,4 percento è diluito dal 1993 al 2011. Tutto questo suggerisce che l’incitamento all’odio è diventato ormai parte integrante del panorama digitale.

L’ultimo caso di linciaggio social

E’ avvenuto proprio in questi giorni in Italia, l’ultimo gravissimo caso di violenza perpetrata sui social network, ai danni ancora una volta di un uomo di colore e in particolare di una giovane donna. Martina Mondini, 25 anni, e il suo fidanzato Slim Joe, un ragazzo nigeriano arrivato in Italia con un barcone nel 2015, laureato in statistica e dipendente di un azienda del pavese, sono stati fatti a pezzi verbalmente dopo un commento di Martina sull’operato di Matteo Salvini sull’integrazione: “prima di parlare di integrazione Salvini si sciacquasse la bocca”. Martina lavora in un centro accoglienza e, ben sa cosa significa cercare di praticare accoglienza quando nessuno, né il tuo Stato, né l’Europa, ti viene incontro per facilitarti il compito, poiché troppo impegnati a scannarsi su temi “più delicati”. Dopo la sua manifestazione di dissenso, Martina è stata presa di mira da un branco di odiatori seriali che, con commenti di una volgarità e inettitudine abbacinanti, nonché dotati di una sgrammaticata sintassi, l’hanno aggredita perché fidanzata con Joe, che appunto, ha la pelle nera.

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“Non capisco il perché di tanto odio – ha scritto poi la ragazza in risposta agli insulti sessisti e a sfondo sessuale ricevuti su Facebook -. Chi mi ha insultata dovrebbe conoscere il mio ragazzo, si renderebbe conto dell’assurdità del proprio pensiero”. Poi la cugina di Martina ha raccolto tutti gli insulti e li ha ripostati per far vedere a tutti che razza di cultura dell’odio sta maturando sui social network.

Anche Emma Marrone presa di mira

Prima di loro, la cantante Emma Marrone è stata presa di mira dagli haters e, in particolare, da Massimiliano Galli, ormai ex leghista (espulso prontamente dal partito) che le ha intimato di aprire le sue gambe invece di chiedere di porti. Com’è possibile che nel 2019, un consigliere di un partito politico eletto dal popolo – e non mi si venga a dire che chi vota Lega è un idiota, perché ad ora sarebbero idioti oltre il 32% degli italiani – si esprima in questi termini, in pubblico, riferendosi ad una donna che non ha insultato nessuno, non ha aggredito nessuno, ma ha solo detto la sua su una questione spinosa. La risposta è semplice: dietro al black mirror tutto è concesso (o così si pensa).

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Prima ancora, il caso Mahmood

Nell’ultimo periodo, è stato anche Mahmood – il fresco vincitore di Sanremo 2019 – a essere preso di mira da haters omofobici e razzisti per il suo presunto orientamento sessuale e soprattutto per le sue origini. Che quella del cantante italiano di origine egiziana sia stata una vittoria strana, forse viziata da qualcosa di estraneo al televoto, può anche essere un argomento di discussione: non sarebbe ne la prima e nemmeno l’ultima volta che succede una cosa del genere in Italia. Ma come può invece il problema essere legato alle origini di una persona? “F****o torna in Egitto”, “Atto di sudditanza al Califfato dei radical chic”, “dovevi vincere il festival egiziano”, “ha il permesso di soggiorno?”, sono questi alcuni dei commenti riservati a Mahmood dopo la vittoria di Sanremo, parole pronunciate da benzinai, medici, avvocati, operai, persone di qualunque estrazione sociale che, davanti alla ghiotta occasione di dire la loro senza freni e rimanendo “impuniti”, non hanno resistito nel svestirsi del bon ton e regredire ad esseri mono cellulari. Senza offesa per gli esseri mono cellulari.

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Le reale responsabilità di Matteo Salvini

Diversi mesi fa, il ministro Salvini ha dato in pasto ai suoi social la foto di due minorenni che lo contestavano con un cartello violento e ingiustificabile. Due ragazze che non sapevano nemmeno quello che facevano, compresa la gravità della minaccia di morte stampata su quei cartelli che, probabilmente, non si erano nemmeno procurate da sole. Ecco, in quel caso, un ministro, un segretario di partito, un vicepremier della repubblica, avrebbe dovuto mantenere la sua superiorità istituzionale anche davanti ad un offesa gravissima; sarebbe stata responsabilità dei genitori delle ragazze spiegar loro la gravità del gesto compiuto e non di certo una prerogativa degli squali social pro Salvini farle a pezzi. Il vicepremier invece ha ricambiato quelle ragazze con la stessa moneta, scendendo al loro livello e fallendo completamente nel pretesto educativo che voleva forse arrogarsi dando loro una lezione sui social. Veramente vale la pena ottenere i consensi dei razzisti, dei sessisti, degli omofobi e peggio, di quegli pseudo-fascisti che non sanno nemmeno cosa vuol dire fascismo, ma si divertono a sbandierarlo? Ed ecco dove cade Matteo Salvini e dove si rivela in parte c*****o verde, come direbbe Marco Travaglio: proprio su questi scivoloni che fomentano soltanto l’odio delle persone. Sul dare in pasto due minorenni ai suoi followers ignoranti e beceri che tra qualche anno troveranno qualche altro politico populista da venerare; sul permettere che il suo seguito metta in dubbio la vittoria di Mahmood perché di origine egiziana, salvo poi ritrattare (e telefonare all’artista). Il ministro infatti sapeva bene che il ragazzo era italiano, solo ha preferito (ben consigliato dal suo social media manager probabilmente) lanciare la provocazione; “Mahmood, mah… io avrei preferito ultimo? Qual è la miglior canzone ITALIANA di quest’anno al festival?”. Perché dunque ministro Salvini ti batti per la sicurezza e la giustizia, e permetti che nel tuo partito permangano elementi come Massimiliano Galli? Perché se sei il ministro del cambiamento mantieni il consenso tramite il controllo di questi sciami di odiatori pronti a pungere e divorare il primo malcapitato? Perché contribuisci a sdoganare tutto ciò? Ah, saperlo.

Ah no aspettate, ma lo sappiamo tutti: per il consenso!

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