> > Roberta Marten: "Il vero virus è il Covid-19, non la disforia di genere"

Roberta Marten: "Il vero virus è il Covid-19, non la disforia di genere"

Roberta Marten disforia di genere

Roberta Marten ci ha raccontato la sua disforia di genere e il percorso di trasformazione da Roberto a Roberta.

Roberta Marten ci ha raccontato, con ironia e delicatezza, cosa significhi abitare un corpo che non ci appartiene. Ciò che sorprende di Roberta è la positività insieme alla consapevolezza e alla responsabilità di voler essere di aiuto a chi soffre di disforia di genere. Roberta ha inciso “Imbarazzismo”, con Mauro Coruzzi, Platinette, dove imbarazzo e razzismo si coniugano in un nuovo termine che rappresenta al meglio ogni forma di pregiudizio generato dalla paura.

Roberta, perché ritieni sia importante parlare di disforia di genere?

Tutto ciò che si conosce poco, spaventa e la disforia di genere oggi è ancora un tabù e motivo d’ironia per molti. Nonostante si siano fatti passi da gigante in fatto di omosessualità, i transessuali sono ancora oggetto di becere battute. Sono consapevole che ci voglia tempo e soprattutto pazienza per cercare di capire. Chi soffre di disforia, prima di tutto, ingaggia una lotta contro se stesso. Vorrei che la mia esperienza potesse essere di aiuto, in modo semplice e diretto, alle famiglie e ai ragazzi che hanno il diritto di essere compresi e aiutati.

La tolleranza non a senso unico, ma da parte di tutti, è fondamentale. Io devo poter concedere il tempo necessario per accettarmi così come sono, mettendo in conto che talvolta non sia del tutto semplice. Io ho sempre fatto musica, come Roberto e poi come Roberta Marten. Ora posso capire che un produttore che mi ha conosciuto quando ero ancora uomo, oggi fatichi a vedermi come donna e talvolta si riferisca a me con un pronome maschile. Questo non significa necessariamente un rifiuto, ma una difficoltà oggettiva dettata dall’abitudine, per cui io sorvolo e non sottolineo mai.

roberta marten

Qual è stato il momento più difficile per te?

Da bambino ero carino e delicato ma, a parte le maestre che mi mettevano tra le bambine per le fotografie di gruppo, non ho avuto grossi problemi. Ero solare e chiacchierone con una propensione per i maschi che, considerata la giovane età, non dava nessuna preoccupazione. Sappiamo cosa significhi l’età adolescenziale, con la confusione generata da un corpo che sembra sfuggire al nostro controllo e la difficoltà di gestire tali cambiamenti.

Immagina cosa ha significato per Roberto, che cercava di non dare nell’occhio, osservando i suoi coetanei maschi che nel frattempo stavano cambiando voce, mostravano fieri la prima peluria ed emanavano odori forti. Sicuramente questo è stato il momento più brutto per me, dove il mio essere “diverso” mi isolava sempre di più. Le ragazze diventavano donne, i maschi uomini ed io rimanevo come sospeso.

In che modo, secondo la tua esperienza, è opportuno parlarne?

Bisogna. Si deve parlarne nel modo più semplice possibile, perché non è una colpa tantomeno una malattia virale, il “virus” è il Covid – 19, non la disforia. La mia attenzione si rivolge proprio agli adolescenti e alle loro famiglie affinché trovino il coraggio di guardarsi negli occhi. So perfettamente che spesso i genitori sono gli ultimi a sapere, o meglio a voler vedere, quello che invece hanno sotto gli occhi, ma ignorare una richiesta di aiuto equivale ad un abbandono.

Posso capire la preoccupazione, la difficoltà, ma l’amore profondo di chi ti ha messo al mondo è insostituibile. Da questo momento così doloroso, sarebbe bello se imparassimo a dare valore al tempo insieme, ritrovando una nuova intimità in famiglia. Voglio credere che si possa diventare migliori, superando le nostre paure, lasciando da parte preconcetti inutili. Un figlio rimane tale, anche in un corpo diverso.

Roberta Marten

Se potessi intercettare quella “cicogna presa a sassate” (come ami definirla), sceglieresti di nascere donna evitandoti tutto il percorso fatto?

Ti stupirò nel dire che non cambierei niente della mia vita. Roberto è ancora oggi il mio migliore amico e una parte di me che non voglio dimenticare. É grazie a lui e alla sua determinazione se oggi Roberta Marten è qui. Mi voglio bene come sono e vivo, questo mio essere transgender, come un’occasione per comprendere al meglio il genere umano. Ho tantissime amiche che ricorrono al mio consiglio per i propri fidanzati o mariti, perché indubbiamente, conosco bene gli uomini senza contare che, il fatto di avere ancora la forza di un uomo, non mi dispiace per niente.

Lo stato italiano ha certificato, annullando l’estratto di nascita di Roberto Martinazzo, che il 1 Febbraio 1981 alle ore 8,25, è nata Roberta Virginia Martinazzo. Che cosa ha significato per te?

Ha significato molto e ci tengo a sottolineare come l’Italia sia avanti rispetto a molti paesi, dove nonostante i nuovi documenti quello che viene certificato alla nascita, rimane invariato. Oggi sono serena e posso guardare indietro anche con la dovuta ironia. È stata dura, ho molte cicatrici e non solo delle operazioni. Nonostante tutto la gioia, la gratitudine che ho per la vita è di gran lunga più grande. Ho avuto la fortuna di scoprire molto presto la passione per la musica, che è diventata il mio mestiere. Ho sofferto di solitudine, ma c’è stato chi ha saputo accogliermi, senza pregiudizi.

Roberta Marten

Ho trovato conforto nella fede e nell’amicizia di Don Andrea che mi ha aperto le porte della sua parrocchia diventando per me una guida spirituale fondamentale. Sorrido al ricordo di un’ecografia all’addome, quando il tecnico, sconvolto, mi dice che non ho l’utero ma la prostata o un’infermiera che, un po’ contrariata, mi fa notare che ho omesso di segnalare la data dell’ultima mestruazione. Situazioni tragicomiche che fanno parte del mio vissuto e contribuiscono a “ridimensionare” quello che erroneamente è considerato ancora un tabù.