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Se per odiare Briatore serve godere del suo contagio, il Covid ha trovato un'umanità inguaiata

Briatore tampone

Le sparate di Flavio Briatore hanno oltrepassato la misura dell'agio sbruffoneggiante, ma ognuno di noi è molto più della somma dei suoi errori.

No, a noi la legge del contrappasso proprio non piace, neanche quando di pancia i suoi strali sembrano andare a colpire una categoria che noi italiani mettiamo molto in punta di forcone. E cioè “quelli che se lo meritano”. Già, e poi perché se lo meriterebbero? Per un fatto semplice quanto bieco: perché abbiamo imparato a gioire il doppio quando la cecità del male colpisce chi sta meglio di noi.

Insomma, Flavio Briatore al di fuori del suo giro non piace quasi a nessuno, ma ancor meno piace l’idea che Briatore sia stato oggetto di una sorta di “giustizia virale” dal momento in cui è risultato positivo a Covid. Perché contro il Covid lui aveva lanciato i suoi strali, perché si era fatto beffe di cardini comportamentali come allarme sociale, precauzione e profilassi. Ma soprattutto perché lui era ed è Briatore, e Briatore resterà quando sarà uscito dal San Raffaele, sia chiaro.

Uno cioè che metà degli italiani ama e l’altra metà ama moltissimo odiare. Un divisivo al centro della scena impaccato di danè e verniciato di jet set. Un tipo umano cioè nei confronti del cui organismo Covid avrebbe assunto i connotati di un giustiziere con velleità etiche. E così non va, non va proprio, non va l’odio talebano che dai social sta colando in queste ore, quello incondizionato, truzzo, becero e diretto.

Ma non va neanche il sussiego didascalicheggiante di quelli che principiano i loro sermoncini secondo il mantra ancor più odioso de “ti auguro di guarire epperò”, lasciando intendere che un po’ se l’è cercata, anche se per carità di Dio il malemalemale non si augura a nessuno ma proprio nessuno. E qui scatta il meccanismo perverso per cui la malattia di Briatore sembra apparire nella palta social come una sorta di compensazione.

Un archetipo per cui chi sguazza nella ricchezza, oggettivizza le donne ed esce vivo dalle maglie della giustizia qualche conto alla vita dovrà pur pagarlo. E a fare da producer di questa stucchevole telenovela per cui ‘Anche i ricchi piagono’ arriva lui, Cov-Sars-19, il Martello di Dio, la Bilancia Suprema, The Equalizer.

Basta sbirciare un attimo nelle pieghe di questo atteggiamento per vederci riflessa dentro, beffarda, la nostra inconfessata voglia di vedere il ricco messo al suo posto, la freudiana scalmana di trovare una ragione per andare avanti. Tirare a campare sotto scacco di Equitalia, poveri, scalcinati, con l’ombrellone in subaffitto e la suocera spiaggiata sulla sdraio di un lido cialtrone, ma finalmente paghi del fatto che uno che bisboccia in Costa Smeralda abbia avuto il fatto suo.

Siamo piccoli esseri, poco da fare, tanto piccoli da usare il pauperismo spinto come antidoto alla spocchia di chi povero non è e neanche brilla per delicatezza. Siamo tanto minimal da celebrare ancora la mistica del destino che spezza la catena di una storia che non ci piace perché non ha baciato la guancia a noi ma all’altro.

Che Flavio Briatore abbia fatto del suo gaudente benessere l’unità di misura tiranna di un’esistenza di cui probabilmente lui non vede la complessità è un fatto. Che le sue sparate abbiano oltrepassato la misura dell’agio sbruffoneggiante più e più volte è evidente, evidente e sbagliato. Che lui sia mediocremente incardinato nello stereotipo dell’italiano “San Tommaso”, che non crede alle cose fin quando non gli succedono potrebbe anche essere congruo. Ma non giusto, men che mai bello.

Che questo stia costituendo trampolino concettuale per augurare a Briatore che il Covid con lui finisca il lavoro e porti a termine la sua mission è orrendo. Orrendo e stupido. Lo è perché ci dà la cifra esatta di come stiamo vivendo questa malattia nell’universo mainstream: come un setaccio sociale che vive con due facce, quella malevola che colpisce le genti e quella salvifica che stronca i baroni di genti, e lì applaudire o ghignare è lecito.

E invece è solo una malattia, grave, seria e mondiale che con la sociologia da tinello non c’entra un beneamato. Perché ognuno di noi è molto più della somma dei suoi errori, e se per odiare Briatore serve godere del fatto che abbia preso il virus, allora vuol dire che il Covid ha trovato una umanità già inguaiata. Dal virus dell’imbecillità.