> > Enrico Ruggeri: "La libertà vale molto più della salute"

Enrico Ruggeri: "La libertà vale molto più della salute"

enrico ruggeri intervista coronavirus libro

In un'intervista a Notizie.it, Enrico Ruggeri racconta il suo libro "Un gioco da ragazzi" e spiega perchè "è sbagliato rinunciare a vivere per la paura di morire".

La libertà è la cosa più importante. Vale molto più della salute. Lei non crede?”. Mi chiede così Enrico Ruggeri, e la sua voce è un brivido. Ha qualcosa di primitivo quando parla. Riporta alla mente le gocce dentro le grotte, che fanno un rumore primordiale e trasudano la fermezza di chi – goccia su goccia – si farà stallattite. Non c’è spazio per i suoi successi incredibili collezionati dal 1980, quando intonò “Contessa” con i suoi Decibel, i capelli biondo platino e l’aria arrogante sul palco di Sanremo, né per tutte le altre hit, che spaziano da “Quello che le donne non dicono” a “Si può dare di più”.

Racconta, Ruggeri, del suo nuovo oscuro libro, il sesto per la precisione, scritto durante il lockdown (“non ho ceduto alle pantofole e allo streaming di concerti”), e lo fa con una modestia sorprendente. Eppure “Un gioco da ragazzi” (La Nave di Teseo, 448 pagine) è una saga più italiana che famigliare, anche se protagonisti sono i fratelli Scarrone, Mario, Vincenzo e Aurora. Sono tre, e sono diversissimi. Si affacciano alla vita con un’attitudine borghese, e una fiducia incondizionata nel progresso che è fatto di auto, di tv e di giradischi. Eppure nel 1968 il boom non è economico, ma richiama alla mente sangue e proiettili, come quello strategicamente proposto in copertina.

View this post on Instagram

A post shared by Enrico Ruggeri (@enrico_ruggeri)

Di certo non esiste un periodo ideale per essere giovani. Eppure il periodo che attraversano i suoi protagonisti è quello di una favolaccia nera. Perché?

La buona norma è quella di scrivere di cose che si conoscono. E io quel periodo lo conosco bene. Sono convinto che il passato si possa rimuovere, ma solo dopo averlo interpretato. Solo così non si lasceranno delle cose insolute.

Fra i tre fratelli, che fanno i conti con la vita e con le ambizioni, sembra di ritrovarla in Aurora, appassionata di musica che andrà a lavorare in una casa discografica.

Lei è certamente quella che mi è più vicina, ma di autobiografico non c’è nulla in senso stretto. Di confinante tutto. Mi considero testimone di quegli anni anche se ero giovane. A quei tempi si cresceva prima. Quando arrivarono le bombe di Piazza Fontana avevo 12 anni, quando c’erano le manifestazioni ne avevo 14. Ho conosciuto un sacco di persone dai diversi destini: avevo amici che sono finiti nel terrorismo, altri nella droga, altri nell’eversione di destra, altri ancora che sono partiti dalla sinistra estrema e sono diventati dirigenti di banca. La gamma dell’umanità è varia, e cerco di raccontarla nella sua molteplicità. Aurora ha fatto di una passione il proprio lavoro, come me. Spesso credo di essermi salvato grazie alla musica. Di essere sfuggito a quello che accadeva grazie alla musica. Quando succedeva qualcosa di terribile nel mio liceo, io andavo in cantina a suonare.

Se non avesse fatto il musicista?

Avrei cercato comunque di raccontare. Magari facendo il giornalista, o iniziando prima a scrivere libri. Credo di essere uno a cui riesce bene raccontare.

Come lo racconterebbe questo periodo storico?

La cosa più interessante è la reazione di massa. Penso, per esempio, alle conseguenze che ci saranno nelle vite degli adolescenti, costretti a stare a casa, a non incontrarsi, a fare lezioni davanti al computer. Questo lo pagheremo per decenni. Secondo me dal punto di vista letterario questo è uno snodo interessante.

Recentemente ha detto che non ha intenzione di barattare la libertà per la salute. L’hanno accusata di essere negazionista, e le critiche sono state piuttosto violente.

Guardi, mi hanno anche augurato di morire. Sa com’è il web oggi… Ma io ragiono con la mia testa, non seguendo la corrente. Non ho mai voluto omologarmi e essere omologato. Non inizierò adesso.

Dunque non ha avuto ripensamenti.

Assolutamente no. Io non faccio il virologo, ma difendo un’idea. La mia. La questione adesso è sociale: è sbagliato rinunciare a vivere per la paura di morire?

Lo chiedo a lei.

Secondo me sì. Il fatto è che siamo una società che non accetta più la morte.

Questo che conseguenze produce?

Produce disastri. Quando uno dice la salute prima di tutto, cambia radicalmente l’essenza di una società. Se gli uomini prima di noi avessero detto la salute prima di tutto saremmo indietro di almeno cinquecento anni: Cristoforo Colombo non sarebbe andato alla scoperta dell’America, gli scienziati non avrebbero vivisezionato i cadaveri, non ci sarebbero state le rivoluzioni né la resistenza.

Mi scusi, ma cosa deve andare prima di tutto secondo lei?

La crescita interiore di ogni essere umano. E questa passa anche attraverso il contatto e la promiscuità. Questo è più importante della vita. E questo lo direi anche sul letto di morte.

Si tratta di una posizione alquanto tranchant. Nella narrazione però lei sospende il giudizio.

Credo che nella scrittura la pietas sia più importante del giudizio. E poi sono convinto che i personaggi, come le persone, non debbano essere raccontati con un’anima unidimensionale. Le cose che rimangono nel tempo, nel cinema come nella letteratura, sono le sfumature dei buoni e dei cattivi. I personaggi tagliati con l’accetta non sopravvivono oltre i filmetti americani. Nella grande letteratura, penso per esempio a Dostoevskij, non esiste mai un personaggio solamente buono e uno unicamente cattivo. C’è il tentativo di entrare nelle anime delle persone, e di tracciarne i confini.

Lei come si sente?

Tendente al buono, ma ci sono decine di persone che, se venissero interrogate, direbbero che ho sbagliato molte volte. Per me il successo è quando entri in un posto e tutti ti sorridono. Poi arriva la vita, che complica non poco le cose.

Nella sua vita a complicare le cose c’è stata per prima la musica.

Vede, io ho sempre paura di fare il sessantenne che dice che tutto quello che si fa oggi fa schifo.

Eppure?

Eppure la musica che si fa oggi mi sembra orrenda, ma potrei sbagliarmi. Se verranno ricordate, queste hit del momento, mi sarò sbagliato. È il tempo che deciderà, non l’industria discografica di oggi.

Sta ritornando a essere decisamente critico, mi pare.

Oggi la musica è totalmente morta, viene derisa pubblicamente. Anzi, peggio: oggi la musica viene regalata. E quindi il problema non si pone.

E quale problema si pone?

L’evidenza che le rivoluzioni musicali apparterranno a chi non avrà più bisogno della musica per sopravvivere. Torneranno a farla i ricchi. Chi non ha bisogno di guadagnare, di inseguire il successo per sopravvivere. Le rivoluzioni ricominceranno a farle solo chi potrà permetterselo.

È un po’ deprimente.

Sono solo i corsi e ricorsi della storia. In questo periodo poi è venuto fuori un totale disprezzo nei confronti di tutte le forme d’arte che sono sempre state fondamentali per l’uomo.

A proposito di musica, le farò una domanda che la farà inorridire.

(ridendo) Faccia pure.

Si vociferà che quest’anno tornerà su un palco che l’ha consacrata vincitore due volte: Sanremo.

Chissà se lo faranno. Magari faranno vaccinare i cantanti in diretta. Comunque vediamo, per ora c’è tempo.