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Stateless, recensione e significato della serie tv Netflix

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Su Netflix è disponibile Stateless, miniserie denuncia sulle condizioni degli immigrati. Ecco la recensione e la spiegazione del finale

Il 7 luglio è approdata su Netflix la miniserie Stateless, con Cate Blanchett e Yvonne Strahovski. Composta da 6 episodi da 50 minuti, la serie è una riflessione drammatica sui “porti sicuri”, dibattito che negli ultimi mesi del 2019 ha coinvolto tutti i paesi dell’Unione europea, in un feroce scontro mediatico fra intellettuali, giornalisti, artisti, profili social e testate online.

Il progetto televisivo è nato dall’attrice Cate Blanchett, che è stata ispirata dalla storia vera di Cornelia Rau, una donna tedesca residente in Australia colpita da disturbi psichiatrici, che nel 2004 venne tenuta prigioniera per diverso tempo dalle autorità dell’immigrazione.

Il motivo della reclusione era la difficoltà da parte delle autorità nel reperire prove anagrafiche che confermassero l’identità della donna, visto che la Rau non aveva con sé documenti ufficiali. Lo scandalo che ne venne fuori spinse il governo australiano a riformare i protocolli dell’immigrazione.

Cate Blanchett, in supporto alle Nazioni unite con cui lavora da anni, ha deciso di mettere su schermo questa storia esemplare, chiamando personalmente l’attrice Yvonne Strahovski per il ruolo della tedesca imprigionata.

Il cast di Stateless

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La miniserie parla di diversi personaggi che intrecciano le loro vite nel centro australiano di Barton, fra gli immigrati in attesa dell’accettazione e i dipendenti che gestiscono il centro.

La protagonista Sofie viene interpretata dalla modella-attrice Yvonne Strahovski, nota soprattutto per le serie televisive di Chuck e Dexter e apprezzata più per la bellezza che per il talento recitativo, anche se in Stateless dà il meglio di sé, mettendo in secondo piano la sua innegabile fotogenia e dimostrando di essere una brava attrice.

L’altro protagonista è sicuramente il bravo Faysall Bazzi nel ruolo di Ameer, uomo costretto a fuggire illegalmente dal Medio Oriente per salvare la sua famiglia. Invece Asher Keddie veste i panni di Claire Kovitz, responsabile del centro di detenzione, in un ruolo che permette all’attrice di emozionarci con il graduale riscatto del suo personaggio, dopo l’iniziale arrivismo e il severo obbedire al protocollo.

Secondari ma importanti, sono i ruoli della carceriera Harriet per una brava Rachel House o l’attrice Helana Sawires nel ruolo della deportata Rosna, mentre c’è un intenso e crudele Dominic West nel ruolo di Gordon, “il maestro di danza” di Sofie.

A impreziosire il tutto, c’è lo splendido cameo della straordinaria Cate Blanchett nel ruolo della moglie di Gordon. La Blanchett, nonostante abbia creato il progetto, ha avuto l’umiltà di chiedere un parte breve ma importante.

La trama

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La storia parla delle terribili vicende che avvengono nel centro d’immigrazione di Barton, dove si decide il futuro di uomini e donne che sono entrati clandestinamente sul suolo australiano.

A causa di diversi scandali mediatici, Claire Kovitz viene mandata come nuovo direttore per migliorare la reputazione del centro di detenzione.

Ma al contrario delle previsioni, i disordini e il malcontento aumentano giorno dopo giorno, perché alcuni degli immigrati rinchiusi collaborano segretamente con le molte associazioni umanitarie che vogliono far chiudere il centro.

In questa lotta politica, combattuta fra scandali, foto e post, vengono coinvolti la bella australiana di origine tedesca Sofie, scappata da una vita costellata di fallimenti e dolore, e una famiglia medio orientale che ha viaggiato per disperazione su un barcone.

Per ogni scandalo che si accende, la direttrice Kovitz trova il modo di spegnerlo con mezzi intimidatori e illegali, che coinvolgono l’operato dei vari agenti della sicurezza del centro, simbolo della corruzione morale ormai dilagante.

Recensione e spiegazione del finale

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Stateless è una serie davvero emozionante e molto ben fatta. La scrittura dei personaggi è convincente, così come l’intreccio delle loro vite. Al centro abbiamo il delicato tema dell’immigrazione. La sceneggiatura ovviamente sostiene la causa di chi vorrebbe aprire i porti, per dare una seconda occasione a tutti quelli che ne hanno bisogno.

Più volte durante gli episodi si mostrano scene forti con dialoghi drammatici, dove i reclusi temono più la deportazione al loro paese natale da cui sono fuggiti, piuttosto che i provvedimenti della giustizia australiana, facendo riflettere lo spettatore sulle atrocità subite dai personaggi rinchiusi.

Ma nonostante questo, la direttrice e gli agenti di sicurezza del centro, dipinti come corrotti e crudeli, non sono degli stereotipi, perché in diverse scene sostengono con forza le loro opinioni, rendendo la storia profonda e paradossale.