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L'ipocrisia della politica che condanna Doha Zaghi più di mafiosi e corrotti

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Doha Zaghi è vittima di un populismo moraleggiante che vorrebbe condannare le abitudini sessuali dei clienti di una candidata più della collusione mafiosa o della corruttibilità di una classe politica che negli anni ha mostrato il peggio di sé.

Vediamo di capire. A maggio 2022, con una guerra in corso che si aggiunge alla recessione già provocata dalla pandemia, con le elezioni amministrative alle porte e con un quadro politico nazionale più che confuso siamo riusciti a montare una polemica su Doha Zaghi, in arte Lady Demonique, “colpevole” di fare uno di quei mestieri che esistono solo per chi li pratica, come se non ci fossero clienti.

Doha Zaghi si definisce «imprenditrice digitale e performer fetish» e si esibisce su piattaforme streaming con i suoi spettacoli da dominatrice sessuale. Apriti cielo. Nel Paese dei moralisti una donna che sceglie un lavoro del genere è ritenuta indegna per partecipare alla vita politica. Doha avrebbe anche competenze giuridiche, visti gli studi in Giurisprudenza tra Parma e Varese e si occupa di politica definendosi «liberista ed europeista». Ma non basta. Si era candidata a Como nella coalizione larghissima (Pd, liste civiche, Verdi e Agenda Como 2030 che tiene insieme Italia Viva, Azione, +Europa e Volt) scegliendo il partito di Calenda. La candidata sindaca Barbara Minghetti (già presidente di spicco del Teatro Sociale cittadino) di Zaghi dice che «ha contribuito con serietà e ricchezza di proposte al nostro lavoro sul programma», aggiungendo: «capisco il bisogno di colorare la campagna elettorale, ma sarebbe bello che nel 2022 ci concentrassimo su cose serie».

Alle prese di posizione della candidata sindaca si erano aggiunte quelle di di Agenda Como («Le scelte delle persone nella vita privata appartengono a un’altra sfera rispetto all’esercizio costituzionale dei diritti politici») e della segreteria di +Europa («Il sex work è un ambito lavorativo e come tale deve essere trattato. Ci uniamo quindi alla solidarietà espressa nei suoi confronti da parte della candidata»).

Niente da fare, Carlo Calenda (forse più attento alle notifiche di Twitter che alle voci dei territori) ha deciso che Doha Zaghi è indegna per provare a partecipare alla vita politica della propria città. E pensare che proprio il leader di Azione aveva invitato a occuparsi di «cose più serie» prima di cedere contro i colpi del populismo peggiore, il populismo moraleggiante che vorrebbe condannare le abitudini sessuali dei clienti di una candidata più della collusione mafiosa o della corruttibilità di una classe politica che negli anni ha mostrato il peggio di sé. Sfugge il perché Doha Zaghi dovrebbe essere più indegna dei tanti candidati politici che nelle elezioni amministrative si candidano semplicemente per avere un quarto d’ora di celebrità nel consesso sociale cittadino.

Non si capisce perché Zaghi dovrebbe essere più dannosa degli eccellenti mediocri che si candidano alle elezioni della propria città per sperare di elemosinare un favore o un’attenzione dal possibile sindaco. Sarebbe da chiedersi se sia peggio avere una donna con competenze politiche e una professione che non si vergogna di dichiarare o uno stuolo di politici che declamano qualità morali che non praticano nel loro peloso privato.

Sarebbe anche da capire come possa accadere in questo Paese che le pruderie di un ex presidente del Consiglio messe in atto coinvolgendo apparati dello Stato possano meritare una candidatura al Quirinale mentre Doha Zaghi non meriti nemmeno la possibilità di correre per un consiglio comunale.

Ha ragione Zaghi quando scrive «mi auguro che dopo oggi tutti i partiti facciano una blacklist di professioni, in maniera tale che non ci possa essere imbarazzo eh. Ma dai, anche una lista di cose che puoi fare e non fare per candidarti, una sorta di galateo. Credevo bastasse avere belle idee, qualche competenza giuridico-economica, e NON AVER COMMESSO REATI E NON ESSERE COLLUSA CON LA MAFIA! E invece… Era meglio nascere salviniana a ‘sto punto».

A condannare senza appello Zaghi infatti sono gli stessi che si professano campioni liberali. È così struggente questa libertà sventolata che non vorrebbe temere il controllo dello Stato e poi si inginocchia con il cilicio per non turbare i benpensanti. Sono quelli che ce la menano da anni con la “cancel culture” e poi indietreggiano per un’ave Maria stonata di troppo. Tra l’altro in un intervista al Corriere della Sera Zaghi aveva dichiarato di essere «di centrosinistra» ma di «guardare a destra»: sarebbe stata la calendiana perfetta.

Doha Zaghi è stata estromessa, la morale pubblica è sistemata. Ora possiamo tornare serenamente al Paese dei Dell’Utri, dei Verdini e dei politici clienti di Doha che l’hanno scampata anche questa volta.