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L’Iran contro la Turchia, le prove dei commerci di petrolio con l’Isis

MohsenRezai

Il recente voto favorevole dato dal Parlamento britannico all’intensificazione dei raid aerei della Royal Air Force in Siria e Iraq ha allargato il fronte anti Isis ponendo la Gran Bretagna in prima linea a fianco degli Stati Uniti d’America e della Francia. Più dietro, ma comunque allineati...

Il recente voto favorevole dato dal Parlamento britannico all’intensificazione dei raid aerei della Royal Air Force in Siria e Iraq ha allargato il fronte anti Isis ponendo la Gran Bretagna in prima linea a fianco degli Stati Uniti d’America e della Francia.

Più dietro, ma comunque allineati alle generali posizioni della Nato, ci sono sia l’Italia, sia la Germania. Molto più vicina alla prima linea è invece la Turchia, paese chiave, quanto meno per posizione geografica, nella strategia di lotta al Califfato, nonché nei connessi problemi di flussi migratori verso il Vecchio Continente e nelle conseguenti implicazioni anche di tipo economico. Il problema è che la Turchia continua a ribadire di considerare come unica soluzione quella della formazione di un no fly zone lungo il confine con la vicina Siria, dove accogliere e fermare i profughi e, soprattutto, dove dare riparo alle truppe avverse al partito dell’ex presidente Bashar Al Assad. Gli USA hanno già parlato per tutti, chiarendo che per procedere in tal senso occorrerebbe un dispiego di forze militari cui nessuno ritiene conveniente ricorrere. Lo ha ribadito ancora una volta il presidente Obama nel recente discorso alla nazione, evidenziando che non si vuole arrivare a condurre una guerra lunga e dispendiosa. Concordano con lui tutti i leader europei, Hollande incluso, il quale ha sempre parlato di raid aerei, mai di truppe di terra.

Dall’altra parte rimane la Russia, ora fiancheggiata in modo aperto anche dall’Iran, altra super potenza sciita che, con la Turchia sunnita, non può e non vuole trovare forme di alleanza o cooperazione vera. Vladimir Putin ha di recente accusato la Turchia di fare affare con l’Isis tramite il petrolio, ponendo così in evidenza quale sia la reale scala di valori di Ankara, secondo la quale gli sciiti sarebbero nemici ancora più dello Stato Islamico. Su questa scia si è mosso di recente anche l’Iran, il cui Segretario del Consiglio per il Discernimento, Mohsen Rezai, ha affermato che “se il governo turco non ha informazioni sul commercio del petrolio da parte dell’Isis nel suo paese, siamo pronti a metterle a sua disposizione”, chiarendo che i servizi iraniani “hanno fatto foto e filmato tutto il percorso dei camion che portano il petrolio dell’Isis in Turchia, prove che possono essere rese pubbliche”.