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Lo stupro di Franca Rame: il racconto del dramma

L'attivista

Lo stupro, i fatti storici e il contesto politico italiano in cui si inserì. L’attrice e autrice teatrale moglie di Dario Fo, avrebbe raccontato questa atroce esperienza in un monologo.

Lo stupro di Franca Rame e il clima politico

Bellissima

Chissà cosa avrebbe detto Franca Rame, lei che aveva subito uno stupro ed aveva sempre difeso i diritti delle donne, in questo periodo in cui in Italia vi sono state così tante violenze sessuali in meno di un mese – a cominciare da quella nei confronti della ragazza polacca e della trans peruviana da parte di altri quattro stranieri di cui tre minorenni, passando per quelle ai danni delle due ragazze americane a Firenze da parte di due carabinieri italiani per di più in servizio, per terminare con quello della ragazza finlandese a Roma abusata da un cittadino ivoriano vicino alla stazione Termini –. Nell’ultimo periodo sono state violentate da due extracomunitari anche due anziane: una di 76 anni a Bari e una di 81 a Milano.

A Franca Rame tutto ciò toccò a Milano il 9 marzo del 1973 – beffardamente il giorno dopo la Giornata Internazionale della Donna -, quando, in quanto moglie di Dario Fo – nonchè madre di suo figlio Jacopo, nato nel 1955 -, fu rapita da cinque esponenti di estrema destra, costretta a salire su un camioncino e a subire violenze per ore.

Erano sposati dal 1954

I suoi aguzzini usarono anche una lametta per praticarle dei tagli sul corpo e la sottoposero a bruciature di sigarette. Ciò per il suo attivismo politico al fianco del marito all’interno di Soccorso Rosso Militante, attivismo che poco più di un mese più tardi dalle violenze subite, il 28 aprile 1973, l’avrebbe portata scrivere una lettera all’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone per sostenere la causa innocentista di Achille Lollo, in carcere accusato con Marino Clavo e Manlio Grillo, tutti e tre membri del movimento extraparlamentare di estrema di sinistra Potere Operaio, del cosiddetto nel Rogo di Primavalle (16 aprile di quell’anno) in cui rimasero uccisi i fratelli Virgilio e Stefano Mattei, figli di 22 e 8 anni di Mario, segretario locale del Movimento Sociale Italiano. Lollo – il quale dietro le sbarre aveva ricevuto una lettera dalla stessa Rame in cui lei gli scriveva: “Ti ho inserito nel Soccorso rosso militante. Riceverai denaro dai compagni, e lettere, così ti sentirai meno solo” -, alla fine fu assolto, ma poi furono accertate le prove della sua colpevolezza e venne nuovamente condannato sia in Appello che in Cassazione negli Anni Ottanta con i complici per incendio doloso e omicidio preterintenzionale. Lui e Grillo avrebbero ammesso la loro colpevolezza soltanto molti anni dopo, quando ormai erano già fuggiti all’estero. Franca Rame si espose anche, attraverso le pagine dell’Espresso, in merito al caso della misteriosa morte del ferroviere Giuseppe Pinelli, l’anarchico e partigiano che il 15 dicembre del 1969 precipitò da una finestra della Questura di Milano, dove si trovava per accertamenti disposti nei suoi confronti tre giorni dopo la Strage nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, in cui una bomba uccise 17 persone – di cui 13 immediatamente – e ne ferì 87. Quell’episodio, fu definito “la madre di tutte le stragi”, non perché fu più grave di altre che sarebbero state perpetrate in seguito in Italia, ma perché diede origine al drammatico periodo della storia nazionale detto degli “Anni di Piombo”. Della strage di Piazza Fontana furono mai accertati i mandanti della strage, né gli esecutori materiali.

Tornando allo stupro di Franca Rame: nel 1988 Angelo Izzo, neofascista noto per essere stato uno dei membri della banda del massacro del Circeo (29 settembre 1975) e responsabili di altri fatti di sangue ed illeciti, riferì che la violenza sessuale nei confronti della moglie di Dario Fo venne “ispirata” da alcuni ufficiali dei carabinieri, quelli della Divisione Pastrengo, e più tardi lo ribadì il neofascista milanese Biagio Pitarresi, che fece un paio di nomi dei responsabili: Angelo Angeli, “un certo Muller” e “un certo Patrizio”, appunto esponenti di estrema destra, dediti nel traffico d’armi, i quali avevano la funzione di agenti provocatori negli ambienti di sinistra e di informatori dei carabinieri. Un generale dell’Arma, Nicolò Bozzo, dichiarò che “un crimine del genere – come lo stupro di Franca Rame – non nasce a livello locale“: c’era una volontà “molto superiore” a quella dell’allora comandante della Pastrengo, Giovanni Battista Palumbo (iscritto alla Loggia P2). Anzi, Bozzo disse che la violenza sessuale della donna venne accolta nell’ambiente da “manifestazioni di contentezza“. Nel corso dell’indagine sulla Strage di Bologna (2 agosto 1980), venne però trovato un appunto dell’ex dirigente dei Servizi Segreti Gianadelio Maletti, il quale riferiva che, durante un litigio, Palumbo aveva imputato al collega Vito Miceli – il quale sarebbe diventato capo del Servizio Informazioni Difesa e coinvolto nel terrorismo nero, poi deputato del Movimento Sociale Italiano in Parlamento – “l’azione contro Franca Rame”. Per quel crimine nessuno venne poi condannato e nel febbraio 1998, quasi 15 anni dopo, il reato cadde in prescrizione.

Il monologo

L'attrice e autrice teatrale

Franca, due anni dopo essere sta violentata, raccontò il terrore e il dolore provati in quei momenti in un monologo teatrale da lei scritto, Tutta casa, letto e chiesa” e in particolare in una parte intitolata “Lo stupro” (1981). Fu talmente efficace e preciso il suo racconto, che, sentendolo, alcune ragazze svennero in platea. Ecco le parole della celebre attrice e drammaturga: “Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca. Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido… Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani”. Già, perché Franca Rame non ha pensato “soltanto” a quello che fanno – e che le hanno fatto – gli stupratori, ma anche alla propria paura di non essere creduta, di essere giudicata ed umiliata di nuovo dalle forze dell’ordine che avrebbero dovuto offrirle aiuto. La stessa paura che impedisce alle altre donne di denunciare – da qui i numerosi appelli mediatici a farlo –. Paura di squallide domande tipo: “Lei ha goduto? Ha raggiunto l’orgasmo? Se sì, quante volte?”: le stessa le aveva segnate e raccolte nella presentazione del suo monologo. Domande fatte alle vittime da parte di avvocati, poliziotti, medici e delle loro perizie. Inoltre sul suo sito teneva una sorta di triste diario degli stupri compiuti in Italia, ma in un articolo scritto sul Fatto Quotidiano aveva avvertito: “molto probabilmente in qualche parte d’Italia proprio ieri una, dieci, cento donne sono state violentate”.