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Mafia Capitale esiste: ma pene ridotte per Buzzi e Carminati

Mafia Capitale

La Corte d'Appello di Roma riconosce Mafia Capitale. La fitta rete di corruttela tessuta da Buzzi e Carminati era di stampo mafioso.

La Corte d’Appello di Roma ribalta la sentenza di primo grado e riconosce l’associazione di stampo mafioso nel processo che vede coinvolti l’ex terrorista nero Massimo Carminati e il ras delle coop rosse Salvatore Buzzi. Per effetto della riforma sul 416 bis, però, le pene per i due imputati sono state ridotte. Soddisfatta la Procura che ha indagato sul Mondo di Mezzo presente nella Capitale. Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia presente anche il sindaco di Roma Virginia Raggi.

Riconosciuta Mafia Capitale

I giudici della Corte d’Appello di Roma riconoscono l’esistenza di Mafia Capitale. Ribaltata infatti la sentenza di primo grado, che non aveva riconosciuto il reato di associazione di stampo mafioso nella fitta rete di corrutela tessuta dall’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e dal ras delle cooperative rosse Salvatore Buzzi. Per Buzzi e Carminati però pene più basse, per effetto della riforma sul 416 bis del febbraio 2015. Buzzi è stato infatti condannato a 18 anni e quattro mesi di carcere (in primo grado erano 19 anni), mentre Carminati a 14 anni e sei mesi (rispetto ai 20 anni precedenti).

In primo grado i due erano stati condannati unicamente per associazione a delinquere semplice. La Procura di Roma ha quindi impugnato la sentenza solo nella parte in cui il tribunale aveva rigettato il reato di associazione mafiosa, chiedendo una pena di 26 anni e mezzo nei confronti di Carminati e 25 anni e 9 mesi per Buzzi. “Non si tratta di stabilire se a Roma c’è o no la mafia, ma se questa organizzazione criminale rientra nel 416 bis e se ha operato con il metodo mafioso” avevano spiegato i magistrati in aula, sottolineando come il metodo utilizzato dai due principali imputati finiti al centro dell’indagine sul Mondo di Mezzo faceva infatti uso della “violenza e dell’intimidazione” per “l’acquisizione di attività economiche” e per infiltrarsi “nella Pubblica amministrazione”.

Alla lettura della sentenza, il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini ha commentato: “Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate. Lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso”. “La corte d’appello ha deciso che l’associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. – sottolinea – Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata”.