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Mani Pulite: l'arresto di Mario Chiesa e l'inizio di Tangentopoli

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L'inchiesta "Mani Pulite" comincia qui, nel bagno di una casa di riposo per anziani di Milano, il 17 febbraio 1992.

Sono le 17:30 di lunedì 17 febbraio, è il 1992, nell’ufficio di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e politico di primo piano del PSI milanese, sta per fare il suo ingresso Luca Magni, imprenditore monzese e amministratore delegato della Ilpi, l’Impresa Lombarda Pulizie Industriali. Tra i due ci sarebbe un accordo, l’assegnazione di un appalto da 140 milioni di lire in cambio di una tangente del 10%, quello che Chiesa però ancora non sa è che quell’incontro è solo l’inizio della fine della Prima Repubblica.

L’inchiesta “Mani Pulite” comincia qui, nel bagno di una casa di riposo per anziani di Milano.

L’arresto di Mario Chiesa

Il giorno di San Valentino a Milano, per l’appuntato Domenico Lupinetti e il carabiniere Francesco Fancello, conosciuti meglio con lo pseudonimo di Lupo e Falco, è un giorno qualunque. Lo è stato, almeno fin quando alle porte del Comando di via Moscova non si è presentato Luca Magni.

È lui che sporge denuncia contro Chiesa, stanco di pagare le mazzette. Puntava all’appalto per le lavanderie del PAT. Un affare. Gli avevano chiesto il 10 % o non avrebbe vinto. Lui fa un nome.

Prima di quel giorno, puntare alla politica era quasi impossibile. Della corruzione c’erano le voci ma mai gli elementi per arrestare qualcuno.

La denuncia passa dal capitano Zuliani che la gira al pubblico ministero in turno. È Antonio Di Pietro, che in quel periodo si occupava di patenti false. Chiesa al tempo era nel giro della Milano che contava, conosceva tutti e faceva da collettore per le tangenti del partito del segretario Bettino Craxi.

Quel giorno si decise di intercettare la consegna dei 14 milioni. In una busta vengono messe le banconote, alcune sono firmate per essere riconoscibili, ma si decide di consegnarne solo 7 di milioni. La valigetta è una mandarina duck, con telecamera e microspia. Alcuni giorni dopo, il brigadiere Sebastiano De Jannello, fingendo di essere il suo assistente, accompagnò Magni allo scambio, puntando la telecamera contro Chiesa.

Giù in auto, sul retro della baggina – come la chiamano i milanesi – ci sono Lupo e Falco, il cavo della telecamera si stacca ma la cimice funziona ancora. Lo scambio avviene e Chiesa rassicura Magni, dice che la sua percentuale si può rateizzare. Lì c’è il segnale “La torta è pronta” e Falco sale su nell’ufficio del presidente del Pio Albergo Trivulzio.

Chiesa all’arrivo dei Carabinieri cerca di occultare la tangente, ne afferra un’altra, da 37 milioni, scaricando le banconote nel gabinetto di un bagno, poi tenta la contro-denuncia – poco credibile, le banconote firmate sono già all’interno di un cassetto della scrivania. È concussione. Nell’appartamento della sua casa in via Mosé Bianchi, i carabinieri trovano 160 milioni in un altro cassetto, quello della cucina. Per Chiesa si spalancano le porte di San Vittore. L’ingegnere non parlò mai, almeno finché Craxi non gli dette del mariuolo e Mani Pulite decollò.

Mario Chiesa, dal PAT a Tangentopoli

Chiesa, classe ‘44, è laureato in Ingegneria Elettrica. Inizia a fare politica nel PSI alla fine degli anni Sessanta e si fa le ossa nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, fino a dirigere il PAT.

Ma il Trivulzio non gli basta, la sua ambizione è la politica, il potere. Chiesa si fa strada nell’élite politica locale, diventando amico della famiglia Craxi, consigliere comunale prima e assessore poi. Ma la sua vera aspirazione è Palazzo Marino. Vuole diventare sindaco di Milano e prendere il posto di Giampiero Borghini, in una città che è vestita dai colori socialisti sin dal dopoguerra. Una via facile, scontata, alla portata di uno come Chiesa. Servono soldi, tanti soldi, e tante conoscenze, che il direttore del Trivulzio può vantare.

D’altronde prima di Borghini, a Palazzo Marino, c’è stato Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, che aveva preso il posto di un altro socialista, Carlo Tognoli. Per entrambi, il primo maggio 92 scatterà l’avviso di garanzia.

Per Chiesa sembra andare tutto nella giusta direzione, fino a quel 17 febbraio.

Quello scandalo, iniziato con una piccola mazzetta e che oggi chiamiamo Tangentopoli, ebbe ampie ripercussioni anche in Svizzera. Era lì, dietro alle porte sicure e impenetrabili degli istituti di credito elvetici, che andava a finire il denaro sporco, quello delle stecche versate a funzionari e politici. Centinaia di conti sospetti, bloccati e confiscati dalle autorità.

I primi furono proprio quelli legati a Chiesa. Nello specifico, due relazioni bancarie, a Lugano, denominate Levissima e Fiuggi, come il nome delle famose acque in bottiglia, limpide agli occhi dei magistrati, che fino a quel momento navigavano nelle acque torbide degli intrecci del PSI. Entrambe erano intestate alla sua segretaria, Stella Monfredi, che nelle pagine dell’Unità veniva descritta come una ragazza tranquilla, colpevole soltanto di non sapere che a suo nome c’era anche un conto da 5 miliardi di lire.

Poi anche migliaia di milioni in una cassetta custodita nella Banca Provinciale Lombarda di Paullo, farina del sacco di Chiesa, che scorreva nel fiume dei miliardi che si scambiavano all’ombra del garofano.

Al telefono con il legale di Chiesa c’è Antonio Di Pietro: “Avvocato, l’acqua minerale è finta”. Sono bastate queste parole per far capire all’ingegnere milanese di essere al capolinea. Rimasto solo, isolato e rigettato dal suo stesso partito, Chiesa, dopo cinque settimane di carcere e un interrogatorio di oltre una settimana, vuota il sacco. Il caso esplode, escono fuori nomi di altri politici e imprenditori coinvolti in un giro che si rivela molto più esteso di quanto gli stessi magistrati potessero immaginare.

Un sistema in cui la tangente – a Milano come in tutto il Paese – era divenuta una sorta di “tassa”, dritta nelle casse della Democrazia Cristiana, del PSI e del PCI. Chiesa ottiene i domiciliari, la classe politica trema, e la squadra di Mani Pulite – il pool – prende vita.