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Marta Russo uccisa il 9 maggio 1997: storia del delitto della Sapienza

Marta Russo e la scena della sua uccisione

Condannati che si professano innocenti e depistaggi precisi: Marta Russo uccisa il 9 maggio 1997 in un vialetto dell'università La sapienza di Roma

Il 9 maggio 1997 viene uccisa a Roma la studentessa universitaria Marta Russo e con quel delitto si apre una vicenda che ha conservato molti lati oscuri e una vittima che ha avuto giustizia a metà. Marta è a passeggio con l’amica Jolanda quando viene colpita alle 11.40 del mattino, all’interno di un vialetto della città universitaria de La Sapienza di Roma. Uno studente chiama la polizia con uno dei primi cellulari dell’epoca. Marta è a terra, con un piccolo foro dietro la nuca. Al Policlinico si sarebbe scoperto che quel foro lo aveva fatto un proietto calibro 22, un’arma da tiro a segno ma non solo, tanto che è l’arma iconica del Mostro di Firenze. Marta muore 5 giorni dopo e il 16 maggio si tengono i funerali davanti a una folla immensa di studenti ed amici.

Quando Marta Russo venne uccisa a maggio 1997

Il magistrato Carlo Lasperanza prende l’inchiesta e scava nella vita della studentessa al terzo anno di Giurisprudenza: nulla di nulla. Le intercettazioni aprono uno spiraglio: in ateneo c’è chi teme discredito mediatico e non manca l’omertà. Su cosa? Per esempio sulle armi rinvenute in alcuni locali. La prima traccia è a fine maggio: c’è polvere da sparo sul davanzale della finestra dell’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del Diritto della facoltà di Scienze Politiche. In quella stanza all’ora non esatta del delitto c’erano Maria Chiara Lipari, Gabriella Alletto e Francesco Liparota. La Aletto diventa una superteste e dopo alcuni interrogatori accusa Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Sulla Aletto, che ritratterà, aleggiano sospetti di dichiarazioni mendaci forse innescate da un’assunzione non chiara.

Gli arresti, il processo e la sentenza

Il 14 giugno il gip Muntoni emette tre ordini di custodia cautelare: uno a carico dell’assistente Salvatore Ferraro uno a carico del collega Giovanni Scattone e uno per Francesco Liparota. Parte un procedimento indiziario, senza arma del delitto e senza moventi. Il 20 aprile 1998 nell’aula bunker del Foro italico di Roma inizia il processo. Lo presiede Francesco Amato con a latere il futuro romanziere Giancarlo De Cataldo. Il 15 dicembre 2003, la Quinta sezione penale della Cassazione condanna definitivamente Scattone a 5 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio colposo e Ferraro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento, entrambi si sonos empre detto innocenti. Eppure l’impressione che in quel delitto manchino tasselli importanti non è scomparsa neanche oggi.