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Meloni, il Risorgimento ed il “miracolo ucraino”

La premier Giorgia Meloni

Meloni aveva un motivo grosso come una casa per andare a Kiev. Quale? Rabbonire Volodymyr Zelensky sul caso Berlusconi e ribadire un concetto che è la chiave di volta della faccenda

Di certo poi Meloni è andata a Kiev perché di questi tempi, tempi amarissimi per l’Ucraina attaccata, la tappa nel paese brutalizzato da Putin è una sorta di “skill obbligata”, un segmento irrinunciabile di asseverazione del percorso politico ed etico di quelle Nazioni che hanno scelto la via ossimora ma necessaria di perseguire la pace incentivando la guerra. Nell’ambito poi dei motivi eccezionali, quelli cioè contingenti alla sola Italia, Meloni aveva un motivo grosso come una casa per andare a Kiev.

Quale? Rabbonire Volodymyr Zelensky sul caso Berlusconi e ribadire un concetto che è la chiave di volta della faccenda: ci saranno pure governi che non hanno visioni omogenee sull’aiuto militare all’Ucraina e sulla condotta questuante del suo presidente, ma quei governi scavalcano la dialettica con decisioni parlamentari unanimi e perciò le “schegge impazzite” al loro interno lo sono solo in punto di linguaggio e mai in punto di deliberato. Insomma, l’Italia avrà pure un imbarazzante Cav che usa il suo cesarismo senescente come un dildo e che di Zelensky ha detto cose turpi, ma alla fine è lo stesso Cav che guida un partito che non ha fatto mai venire meno il suo appoggio all’invio di armi ed alla linea atlantica più intransigente, quella che da Blinken-Stoltenberg arriva a Borrell e finisce con il bellicismo baltico.

Il contenitore per spiegare la linea dell’Italia

E tuttavia, come tutti i capi di governo che negli ultimi mesi sentono l’usta di una situazione in cui l’Ucraina di Zelensky si è accreditata come stato attivamente cobelligerante e non più solo come nazione indifesa brutalmente attaccata, capi di governo che devono “confezionare” la nuova situazione in salsa dialettica, Meloni aveva bisogno di un grip, di un “contenitore”.

Ecco, lei lo ha trovato in tre capisaldi dell’esperienza storica nazionale: con un’iperbole quasi hollywoodiana ha parlato di Risorgimento. Si, di quello, del periodo nel quale l’Italia lottò e vinse, anche con aiuti stranieri, contro l’Austria e contro il suo atavico territorialismo per divenire nazione. Oddio, l’Ucraina nazione lo è già e il contesto è palesemente fuori squadra, ma la premier qualcosa lo doveva pur dire per motivare una scelta che qui da noi non è mai stata univocamente accettata.

Qualche buon affare a cose finite non guasta

Lo doveva dire e rafforzare, tanto che ha parlato di Rinascimento e si è intortata nel secondo step di un paragone sghembo che però è andato a crogiolo e massa critica con il “miracolo ucraino”, e lì si è capito tutto. Perché come per quello di Roma il miracolo post bellico dell’Italia nacque da una ricostruzione in cui misero mano e fecero man bassa di Pil quelle stesse nazioni che l’Italia la liberarono dai nazi fascisti.

E la Meloni, ricordandolo a Zelensky, ha staccato il ticket per fare qualche buon affare. Non c’è niente di male, ma forse andava spiegato senza scomodare una storia che nelle vicenda ucraine ci sta un po’ stretta.