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Migranti. Affonda gommone al largo della Turchia: 9 morti

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Un gommone è affondato al largo della Turchia mentre era diretto verso le vicine isole greche. 9 morti. Amnesty International accusa Europa

Nuovo capitolo del triste volume delle morti in mare aperto. I cadaveri di sette bambini e due donne sono stati ripescati al largo della città turca di Kusadasi, nel Mar Egeo. Le vittime si trovavano a bordo di un gommone che è naufragato prima di poter raggiungere la costa. Altri quattro migranti sono stati tratti in salvo dai soccorritori.

Le vittime: 7 bambini e 2 donne

Non ci sono altri dispersi, questo è quanto riferisce l’amministratore del distretto di Kusadasi, Muammer Aksoy. Tutti i corpi sono stati recuperati ma purtroppo nove vite sono state sacrificate in questo disperato tentativo di raggiungere la terra promessa. I migranti, di cui non è ancora nota la nazionalità, erano diretti verso le coste greche e, dal racconto dei sopravvissuti sull’imbarcazione viaggiavano tredici persone. Si tratta dell’ennesimo naufragio di gommone carico di migranti lungo la via turca, dove il flusso migratori ha subito un incremento del 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Il rapporto di Amnesty International

La notizia giunge a qualche giorno dalla pubblicazione del rapporto Amnesty International “Tra il diavolo e il mare blu profondo. I fallimenti dell’Europa su rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale”. Un vero e propro j’accuse diretto contro i governanti di tutto Vecchio Continente. Nel dossier l’organizzazione umanitaria fa il bilancio delle drammatiche conseguenze delle politiche europee volte a chiudere la rotta del Mediterraneo centrale. Quelle che ne sono emerse sono le innegabili responsabilità dei paesi membri Ue. Italia e Malta al primo posto.

L’Europa ha fallito sui migranti

Si tratta di un atto d’accusa che riguarda il caso specifico dei migranti provenienti dalla vicina Libia ma che può aiutare a far luce su quelli che sono i fallimenti dell’Europa in tema di rifugiati e migranti. Prime tra tutti le palesi violazioni commesse dalle autorità italiane e maltesi che “hanno denigrato, intimidito e criminalizzato le eroiche ong che tentantano di salvare vite in mare. E hanno rifiutato alle loro imbarcazioni il permesso di sbarcare e le hanno perfino confiscate”.

Aumenta in numero dei morti in mare

L’Europa, con il crescente tasso di consenso verso un populismo di matrice pseudo nazionalista ha permesso che le morti in mare crescessero esponenzialmente. Amnesty parla di oltre 721 vittime solo tra giugno e luglio 2018. Nello stesso periodo il tasso di mortalità di coloro che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo partendo dalla Libia è aumentato a 1 su 16 rispetto all’1 su 64 dei primi cinque mesi dell’anno.

Le responsabilità dell’Italia

I successi legati alla linea dura del nostro governo sul tema immigrazione altro non è che uno specchietto per allodole. “Nonostante il calo del numero di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo negli ultimi mesi, il numero di morti in mare è aumentato” ha affermato Matteo de Bellis, ricercatore per Amnesty International. Secondo lui le responsabilità per questo crescente numero di vittime è riconducibile direttamente ai governi europei, “che sono più preoccupati di tenere le persone lontane, rispetto che a salvare vite umane”.

Violati i diritti umanitari

È innegabile: l’Italia, fatta saltare l’intesa sulla riforma delle regole di Dublino – che avrebbe disciplinato il diritto d’asilo dei migranti che arrivano in Europa – ha iniziato a negare l’ingresso nei suoi porti alle navi che trasportavano persone salvate. Ha lasciato persone bloccate in mare per giorni, migranti e volontari. Ma soprattutto ha autorizzato la Guardia costiera libica a intercettare le persone in mare, ostacolandone il soccorso. L’accusa di Amnesty è quella di collusione tra Libia ed Europa, che avrebbe di fatto avvallato la reclusione dei migranti nei centri di detenzione del paese nord africano.

Alcuni episodi da chiarire

L’Europa dovrà iniziare a rispondere di alcuni incidenti in cui rimangono dei punti oscuri. Tanto per cominciare, quello avvenuto tra il 16 e il 17 luglio. Su questo fatto molte sono le incongruenze nelle versioni della Guardia costiera libica. Ciò che è certo è che l’unica sopravvissuta al naufragio, Josefa, una donna originaria del Camerun, fu soccorsa dalla ong catalana Proactiva Open Arms al largo della Libia. Prima del salvataggio era rimasta per due giorni in mare.

Altro episodio quello del 30 luglio, quando una nave italiana ha recuperato 101 persone a bordo di un gommone, poi riaccompagnate nel porto di Tripoli. Non è mai successo, nella storia dei flussi migratori nel mediterraneo, che una nave proveniente da un paese indicato come porto sicuro riportasse le persone soccorse in un paese considerato l’epicentro della tratta dei migranti e per giunta dalle precarie condizioni di sicurezza.