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Moda: riparte risiko, da Prada ad Armani, i big che resistono a mani estere

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Milano, 22 lug. (Adnkronos) - Tutti ci invidiano e tutti ci vogliono. Ma c’è chi resiste e continua a dire 'no' alle lusinghe dell’estero. Mentre si allungano le mani sul Made in Italy nel risiko dei brand del lusso che finiscono oltre i confini italiani, come Etro, l&rs...

Milano, 22 lug. (Adnkronos) – Tutti ci invidiano e tutti ci vogliono. Ma c’è chi resiste e continua a dire 'no' alle lusinghe dell’estero. Mentre si allungano le mani sul Made in Italy nel risiko dei brand del lusso che finiscono oltre i confini italiani, come Etro, l’ultimo dei marchi tricolore che ha trovato un acquirente in L Catterton, la maggior società di private equity globale legata a Lvmh, diversi nomi del lusso nostrano resistono – almeno per ora – alle grinfie di acquirenti esteri. In mani italiane restano Prada, Armani, Tod’s, Aeffe, Moncler e Brunello Cucinelli, ma anche Diesel, con il patron Renzo Rosso, proprietario del gruppo Otb, che oltre a crescere per linee interne nell’ultimo decennio ha fatto incetta di brand come Marni, Maison Margela, Viktor & Rolf e, recentemente, Jil Sander.

Armani nel 2019 ha costituito la sua Fondazione e qualche mese fa ha annunciato un cambiamento di avviso sul futuro dell’azienda, dicendosi disponibile ad alleanze con altre italiane, anche se il mese scorso re Giorgio sembra aver risposto negativamente alla proposta di Exor per una possibile alleanza. Tod’s resta indipendente ma rumors continuano a susseguirsi dopo che nei mesi scorsi Lvmh ha aumentato la sua partecipazione dal 3,2% al 10%. Il Gruppo Prada, che nel portafoglio vanta firme come Miu Miu, Car Shoe, Church’s e Marchesi 1824 ed è quotato a Hong Kong, vede saldo al timone Patrizio Bertelli e la famiglia di Miuccia Prada, con il figlio Lorenzo, da poco entrato in azienda. Non cedono alle lusinghe anche Dolce&Gabbana, Salvatore Ferragamo (che nonostante le voci ricorrenti ha sempre smentito una potenziale vendita) Moncler di Remo Ruffini, che l’imprenditore ha acquistato nel 2003, mentre Ermenegildo Zegna ha annunciato lunedì scorso la quotazione sulla Borsa di New York tramite una fusione con la spac americana di Investindustrial.

“Sicuramente gli ultimi due anni di convivenza con il Covid hanno messo sotto pressione la liquidità di molti brand – spiegano all’Adnkronos Filippo Bianchi, managing director e partner di Bcg, e Filippo Prini, project leader di Bcg -. Se marchi supportati da grossi fondi hanno avuto la possibilità di fare leva sulla forza, anche finanziaria, del gruppo, i brand ‘stand alone’, nella maggior parte dei casi di taglia piccola, hanno sentito maggiormente le conseguenze della crisi, cosa che spiega, seppur parzialmente, il fermento nelle attività M&A attorno a questi brand”. Spesso questi brand ‘stand-alone’ vengono acquisiti da gruppi esteri e fino ad oggi l’Italia, se non con pochissime eccezioni, non è riuscita a creare un polo di gruppi del lusso come ad esempio è avvenuto in Francia, dove vi sono i due più grandi gruppi del lusso a livello mondiale come Lvmh e Kering o negli Usa con gruppi come Capri Holding.