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Napoli: scoperto Phartenope, l’antico porto sommerso 

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Gli archeologi hanno scoperto l'antico porto di Napoli, Parthenope, a quattro metri di profondità nel mare difronte al Lungomare e viene individuata anche una strada larga circa due metri con dei solchi tracciati dai carri.

A Napoli, un gruppo di ricercatori partenopei coordinati dall’Università Iulm di Milano, attraverso un cantiere archeologico installato nei fondali nel mare, hanno scoperto Parthenope, l’antico porto della città.

Sommerso da millenni, nelle acque difronte al lungomare, ad una profondità di circa quattro metri, quello che è venuto alla luce è un vero e propio ed importantissimo pezzo di storia della città. Oltre alla struttura portuale, tra detriti e depositi di sabbia, sarebbe anche evidente un impianto stradale sul quale sono presenti dei segni che sembrerebbero dei solchi tracciati da carri. Anche se le ricerche sono ancora in corso, gli studiosi stanno facendo le prime ipotesi.

L’archeologo subacqueo Filippo Avilia spiega infatti che “le immersioni, a parte quattro gallerie sul lato di ponente di Castel dell’Ovo, hanno rilevato tagli e lavorazioni di origine antropica, cioè opera dell’uomo, nel banco tufaceo sotto la scogliera, più o meno all’altezza dell’università Parthenope. Tutto è in corso d’opera, dai rilievi topografici all’analisi planimetrica, però tali manufatti, per esclusione o per analogie, potrebbero essere legati ad infrastrutture portuali, forse della prima colonia di Palepolis. Inoltre, abbiamo individuato quella che sembra una strada arcaica, larga circa due metri e lunga una trentina, con i solchi lasciati dai carri dell’antichità”.

Di che periodo si tratta?

Indizi sulla datazione dei reperti emersi nelle acque di Napoli, si cercano attraverso le numerose immersioni, la rilettura delle fonti storiche iconografiche e l’osservazione delle foto aeree. Gli studiosi hanno anche preso in considerazioni alcuni quadri d’epoca che mettono in evidenza l’evoluzione e la descrizione dei luoghi ed hanno approfondito la ricerca utilizzando come fonte alcune interviste fatte ai pescatori della zona, che conoscono bene il territorio e la sua storia, intrecciando poi i loro racconti con documentazione e teorie archeologiche.

L’esperto Avilia continua: “Le gallerie, più che cave, appaiono come postazioni militari, una sorta di corridoi “bunker” posti a controllo di un tratto di mare, e presentano similitudini di taglio e dimensioni con quelle dell’Antro della Sibilla a Cuma risalenti al IV secolo a.C. e quindi genericamente databili alla prima fase della colonia. Nel 2014, durante alcuni sondaggi nel porticciolo di Santa Lucia, trovai il banco di tufo quasi affiorante, cosa che mi fece già sospettare che Castel dell’Ovo fosse in origine una penisola. Il ritrovamento successivo delle gallerie lo ha confermato”.

Napoli, la forma della costa

Si tratterebbe quindi di un braccio di terra continuo, non un isolotto separato, e Avilia specifica: “Gli studi storici, fino alle navi scoperte nel corso della realizzazione della metropolitana, hanno sempre affermato che il porto fosse ubicato soltanto nel lato di levante (rispetto a Pizzofalcone), in pratica nei pressi del Maschio Angioino, con la possibilità di approdo fluviale alla foce del Sebeto, che sfociava nell’attuale piazza Municipio. Tuttavia Pizzofalcone, di cui si data la fondazione intorno al VII secolo a.C., poteva benissimo avere un doppio approdo, perché il lato di ponente, considerato poco adatto, era in origine un’insenatura molto protetta, oggi sì lo vediamo in posizione parecchio avanzata, mentre in età antica, come attestato dagli studi geologici, la spiaggia era molto più arretrata, arrivava quasi fino a piazza dei Martiri. Quindi ci troveremmo di fronte ad una baia, che andava da Mergellina in prossimità del molo di attracco degli aliscafi, rientrava a piazza dei Martiri, curvava sotto Pizzofalcone, proseguendo alla fine con il “braccio” di Castel dell’Ovo, la penisola di Megarys. Forse è proprio la baia del primo insediamento greco sulla collina di Pizzofalcone, prima di Neapolis”.

Il futuro di Parthenope

A seguito delle ultime scoperte, si è presentata l’esigenza di tutelare e valorizzare il patrimonio subacqueo di Napoli, oltre che quello in superficie, tema al centro del progetto biennale dell’Università Iulm. Lo scopo sarebbe quello di mappare il tratto di costa napoletano e creare in futuro dei percorsi turistici subacquei.

Sarebbe il primo caso al mondo di un lungomare sotto il filo dell’acqua e un’esperienza suggestiva per chi potrebbe passeggiare in un’area sottomarina, catapultato nell’epoca dell’antica sirena Parthenope.