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Niente rimette in ballo la pace come un terremoto

Turchia

un terremoto è esattamente quello che si sembra quando lo avvertiamo sotto i piedi: la prova provata che su questo pianeta siamo inquilini

Un’occasione così orrida avremmo sperato tutti di non averla mai, nessuno di noi dovrebbe usare l’apocalisse per invocare che altre apocalissi cessino, ma non è tempo per mettere l’etica al servizio delle graduatorie dell’orrore. No, dopo il terremoto che ha messo Turchia e Siria in ginocchio è tempo di capire, capire davvero e capire tutti. l’ecatombe che da Graziantep si è irraggiata per centinaia di chilometri ha fatto una cosa che resta difficile da capire perfino a noi che abbiamo la tecnologia e l’informazione aggiogate in casa ogni minuto secondo della nostra esistenza.

Niente rimette in ballo la pace come un terremoto

Quel terremoto ha spostato l’Anatolia di tre metri in uno storico che in questi ambiti si misura in millimetri, ha fatto quello che farebbero 32 bombe nucleari in botto simultaneo sulla Terra. Ed ha ucciso chi sulla Terra ci stava camminando nel suo percorso di vita, vita negata in pochi secondo di urla e membra spaccate da tonnellate di cemento con migliaia di vite che sono scomparse nella polvere che dai corpi arriva sulle gote di chi deve soccorrere e piangere. È la morte allo stato dell’arte, quella che millenni di civiltà, secoli di progresso e decenni di scatti avanti delle scienze non sanno e non sapranno mai mettere a briglia.

Non possono farlo perché un terremoto è esattamente quello che si sembra quando lo avvertiamo sotto i piedi: la prova provata che su questo pianeta siamo inquilini e che di questo pianeta non saremo mai apice spocchioso solo perché abbiamo inventato Instagram e facciamo i G7 col blazer buono messo su.

Come è possibile non capire che il momento è adesso?

E allora come cacchio facciamo a non capirlo? Perché è così difficile vedere che se sulla Terra ci sono forze capaci di schiacciare la nostra boria di specie forse il nostro senso di specie dovrebbe farci mettere fine alle cose che invece siamo noi a provocare? Perché non capire adesso, ora, senza soluzioni riflessive o tavole rotonde cretine e parolanti che forse è proprio questo il momento per piantarla con la macelleria in Ucraina e con tutti gli altri sconci del pianeta in cui a falciare vite non è la tettonica a zolle ma la fame dell’uomo?

Poche once di tempo dopo l’orrore in Turchia e Siria i grandi della terra si sono prodigati tutti nell’offrire aiuto e nell’inviare aiuti: Putin, Biden, Sunak, Trudeau, Scholz, Meloni, Macron, Xi e tutte le maledette teste apicali dei sistemi complessi che su questo mondo ci hanno messo l’impronta di una specie “evoluta” che però ha dimenticato la sua probità di fondo, si è persa i suoi doveri mentre ciascuna delle sua parti blaterava dei suoi diritti.

Tutto difficile, siamo una specie “bizantina”

E non per cattiveria, no no, l’uomo non è malvagio: l’uomo è cretino, il che è molto peggio. No, la guerra viene considerata un sistema difficile da arginare per cervellotiche pulsioni che ormai abbiamo, spinte bizantine e barocche a considerare tutto difficile perché in sommatoria con fattori plurimi. Una manica di idiozie savie e molli per non dire che basta volerlo e ogni cosa cessa, se al timone di quella cosa ci sono volontà decise e limpidamente protese a vivere quello che è giusto invece di proclamarlo con discrimine.

E allora facciamolo, a pochi giorni dal compleanno dell’orrore che potevamo prevedere e di cui tutti i sismografi ci avvisavano fatelo davvero, capoccioni. Fate che i morti di Turchia e Siria diventino occasione, tragica occasione, per dare scacco alla sola morte che abbiamo il potere di fermare.

Loro, quelli sotto le macerie, un sismografo che li avvisasse che stavano per morire non ce l’hanno avuto.