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No, uccidere una bambina di 5 anni non equivale a scegliere di abortire

elena del pozzo e ginecologa

Non lo dico io, lo dice la legge. La stessa legge che stabilirà il futuro di Martina Patti protegge le donne che decidono di abortire e tutela i loro diritti. O almeno dovrebbe.

C’è una cosa che mi fa molta paura, ed è la censura. Non poter dire liberamente ciò che si pensa è o dovrebbe essere uno dei più grandi timori per tutti, ancor più per chi della parola ne ha fatto un mestiere. Ma c’è un’altra cosa che mi fa paura, ed è come questa libertà viene usata.

Mi fa paura quando viene usata come ha fatto la dottoressa Monica Calcagni, che alla professione di ginecologa alterna quella di tiktoker e che ha esercitato il suo diritto alla libertà di espressione scegliendo di parlare di un caso così doloroso e delicato che richiederebbe (sì, anche da parte della stampa) meno rumore e più silenzio.

Sull’omicidio di Elena Del Pozzo tanto si è detto e si è scritto, ora bisognerebbe solo attendere che le indagini facciano il loro corso e che il tempo lenisca, per quanto possibile, le ferite di chi quella bambina l’ha conosciuta e amata. Quello che mai bisognerebbe fare, e che invece la dottoressa non ha avuto remore di fare di fronte a una platea potenzialmente infinita di persone, è ergersi a giudice e insinuare il sospetto che la colpa possa essere anche del padre.

Così come mai bisognerebbe azzardare un paragone agghiacciante tra Martina Patti e tutte le donne che ogni giorno, per i motivi più disparati, scelgono di abortire.

“Tutti quelli che accusano questa donna di aver ammazzato il figlio sono però gli stessi che però non accusano le donne che abortiscono, che ammazzano i loro figli… solo che quelli non sono mai nati, e quindi non li hanno mai tenuti in braccio, in grembo, non li hanno mai allattati. Ma non è la stessa cosa?“.

No, dottoressa Calcagni, non è la stessa cosa. Portare tua figlia in un campo, prendere in mano un’arma e ucciderla a sangue freddo (così avrebbe confessato al Gip) non equivale a scegliere di interrompere volontariamente una gravidanza. Non lo dico io, lo dice la legge. La legge che stabilirà (lei, non i tribunali improvvisati del web e dei salotti televisivi) il futuro di Martina Patti, ecco, quella stessa legge protegge le donne che decidono di abortire e tutela i loro diritti, che le piaccia o no. O almeno dovrebbe, il condizionale e d’obbligo.

Abbiamo già dimenticato il caso del Molise, regione dove è praticamente impossibile abortire, dove in mezzo a un esercito di obiettori di coscienza dal 1 gennaio a praticare l’IGV è rimasta solo la dottoressa Giovanna Gerardi? Abbiamo dimenticato che, secondo i dati raccolti e diffusi a ottobre 2021 dall’Associazione Luca Coscioni, in tutta la penisola in almeno 15 ospedali il 100% dei ginecologi è obiettore. In altri 20 nosocomi lo è oltre l’80% del personale. Tutto a dispetto di una legge, la famosa 194, che vieta espressamente la cosiddetta “obiezione di struttura”.

Come potrà mai una donna avere fiducia non solo in una società ma anche e soprattutto in un sistema sanitario che troppe volte la pensa come la dottoressa Calcagni, che troppe volte tratta chi sceglie di abortire proprio così, come assassine?

Un sistema che troppo spesso fa di tutto per impedire una libera scelta che, per legge, dovrebbe invece essere sempre garantita. Ma, di nuovo, e tristemente, il condizionale è d’obbligo.