> > Omicidio di Bruna Bovino: 25 anni all'assassino che l'ha uccisa e data alle f...

Omicidio di Bruna Bovino: 25 anni all'assassino che l'ha uccisa e data alle fiamme

Bruna Bovino

Il delitto di Bruna Bovino ha trovato un epilogo: sono stati dati 25 anni al suo assassino, che l'ha uccisa a colpi di forbice e data alle fiamme

Antonio Colamonico, di 36 anni, è stato condannato a 25 anni di carcere per omicidio e incendio che hanno causato la morte di Bruna Bovino. La 28enne italo-brasiliana era stata aggredita dall’uomo a colpi di forbici. Era poi stata strangolata e data alle fiamme nel centro estetico di cui era titolare a Mola di Bari. L’uomo aveva una relazione extraconiugale con la ragazza.

Bruna era mamma di due bambini. La giovane donna era stata trovata morta sul pavimento del centro estetico, cosparso di sangue e con il corpo semicarbonizzato. Era il 12 dicembre del 2013. Un incendio divampato nel salone aveva cancellato in parte anche le tracce che potevano portare all’identificazione del suo assassino. In un primo momento gli investigatori avevano pensato che la morte fosse avvenuta per un incendio scoppiato in modo accidentale. Ma i risultati dell’autopsia sul corpo di Bruna avevano evidenziato anche segni di percosse e lesioni riconducibili a una ventina colpi di un paio di forbici, oltre ad altri segni di strangolamento. La sua fu quindi una morte lenta, atroce.

Il centro massaggi a luci rosse: la denuncia di Bruna Bovino

Le indagini partirono proprio dalla vita della giovane mamma. Si scavò nel suo passato, concentrandosi subito su una vicenda giudiziaria cominciata nel 2011. Tale fatto la vedeva ancora coinvolta. Bruna Bovino si era costituta parte civile nel processo per induzione e favoreggiamento della prostituzione contro il suo ex datore di lavoro. Ovvero contro il titolare del centro massaggi dove era impiegata a Triggiano, in provincia di Bari. Bruna aveva infatti accusato l’imprenditore di averle domandato di avere rapporti sessuali con i clienti.

I tabulati telefonici condussero poi gli inquirenti su un’altra strada, quella dell’omicidio passionale. Anche se il cellulare di Bruna Bovino era stato portato via dal suo assassino, i dati messi a disposizione dal gestore avevano aiutato a ricostruire i contatti con una persona. Cioè proprio con colui che si scoprirà essere l’amante di Bruna, un uomo di 32 anni, sposato. Antonio Colamonico venne quindi indagato per omicidio volontario e incendio doloso. Il fuoco sarebbe stato appiccato secondo l’accusa proprio per cancellare le prove del delitto.

L’amante sposato: “Non avevo motivo di ucciderla”

“L’amavo, non avevo motivo di ucciderla”. Questa era stata la difesa di Colamonico, che però non aveva convinto nessuno. Le celle a cui si è agganciato il suo telefonino lo avevano posizionato all’ora del delitto, ma non solo. Il DNA presente sotto le unghie di Bruna apparteneva interamente al 32enne. Erano quindi prove inconfutabili anche per la difesa. Gli avvocati di Colamonico si appellarono in sede di processo alla mancanza di un movente, che in effetti appariva poco chiaro.

Secondo i pm che seguirono il caso si sarebbe trattato di un delitto d’impeto, maturato durante una violenta lite. La donna aveva quindi cercato di reagire. La Corte di Assise di Bari ha ora condannato alla pena di 25 anni di carcere il 36enne Antonio Colamonico. Anche la moglie di Colamonico è stata accusata per falsa testimonianza, avendo rilasciato alcune dichiarazioni che avrebbero potuto scagionare il marito.