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Attentato a Oslo: la testimonianza di Chiara

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Chiara, 34anni, norvegese per metà, da Bologna si è trasferita in Norvegia. Ha due figli di 10 e 7 anni e lavora nei servizi sociali nel comune di Bærum. “Al momento dell'esplosione ero a casa, a circa 7 km dal centro. Ho sentito un grande boato, sembrava un tuono, ma non stava piovendo. Ho ap...

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Chiara, 34anni, norvegese per metà, da Bologna si è trasferita in Norvegia. Ha due figli di 10 e 7 anni e lavora nei servizi sociali nel comune di Bærum.

“Al momento dell’esplosione ero a casa, a circa 7 km dal centro. Ho sentito un grande boato, sembrava un tuono, ma non stava piovendo. Ho appreso della bomba da un amico italiano che mi ha scritto su Facebook, poi ho letto i giornali online…
Il primo pensiero è stato “meno male che è venerdì pomeriggio”: la gente esce dal lavoro prima e a quell’ora in molti sono già a casa. Qui sono le vacanze estive, come in Italia a Ferragosto. La giornata era pessima, aveva piovuto tutto il giorno, penso che anche coloro che normalmente si sarebbero recati in centro per prendere una birra erano rimasti a casa. Inizialmente ho pensato fosse un norvegese che non voleva fare molti danni alle persone, ma piuttosto un’azione “simbolica”. Quando abbiamo appreso della sparatoria ad Utoya, era difficile non credere in un nesso fra le due cose…
Anche i miei figli, con il padre, erano a circa 500 metri. Non si sono accorti di nulla, hanno solo raccontato di aver visto molta polizia.
Nella serata si sentivano gli elicotteri che andavano a Utoya, circa 30 km da qui.
Per il resto c’era molto silenzio, in strada non c’era nessuno. Le autorità inizialmente hanno invitato a restare a casa e a lasciare libero il centro di Oslo. Si invitavano i donatori a recarsi a donare sangue di gruppo 0 negativo.
Quando si è appreso che l’attentatore era un norvegese integralista, in realtà siamo in vari che abbiamo tirato un sospiro di sollievo, nonostante il peso della tragedia: i concetti di apertura e integrazione sono all’ordine del giorno in molti ambiti sociali. Se fosse stato un attentato di matrice islamica, i risvolti sociali sarebbero probabilmente stati ancora maggiori. Il fatto che si tratti di un norvegese e per di più protestante, mette tutto sotto un’altra luce e obbliga l’opinione pubblica a guardarsi dentro, senza dover cercare un “altro” a cui dare la colpa.Oggi le bandiere sono a mezz’asta. I norvegesi cercano di capire se questo individuo abbia agito da solo o se dietro ci sia un gruppo organizzato. Si raccolgono i vetri, si piangono i morti e si cerca di riappropriarsi della società tranquilla e tollerante che la Norvegia vuole essere”.

Certo, l’opinione pubblica “deve guardarsi dentro” e chiedersi anche il perchè si permetta di tenere in casa due fucili mitragliatori regolarmente denunciati.