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Pensioni, verso una riforma per non tornare alla Legge Fornero: cosa chiedono i sindacati

riforma pensione

Continuano i vertici d'incontro tra Governo e Sindacati, e ormai sembrerebbe mancare sempre meno ad un accordo per la riforma pensioni.

Continuano i vertici d’incontro tra Governo e Sindacati, e ormai sembrerebbe mancare sempre meno ad un accordo per la riforma pensioni.

Ultimi dettagli per la riforma pensioni

Dopo l’intesa trovata su Quota 102, ormai sembra sempre più vicina l’intesa tra esecutivo e Sindacati in materia di riforma pensionistica. L’obiettivo comune è garantire dal 2023 maggiore flessibilità in uscita rispetto alla Legge Fornero, con pensioni a partire da 62 o 64 anni invece che 67 e un esborso sostenibile per le casse dello Stato.

In particolare, i Sindacati insistono su una possibile uscita libera a partire da 62 anni con almeno 20 anni di contributi, oppure per una pensione anticipata con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica. Questi gli ultimi punti su cui discutere, perché il Governo li rietiene troppo onerosi e insostenibili economicamente.

Per questo, l’ultima proposta dell’esecutivo sarebbe quella di mandare le persone in pensione a partire 64 anni, con un ricalcolo in senso contributivo che preveda un taglio del 3% degli assegni

Le richieste di Ghiselli (Cgil)

«Il governo ha dato la disponibilità a discutere di un accesso alla pensione anticipata prima dei 67 anni, senza una linea ufficiale sull’età di partenza. Ma questo anticipo avverrebbe interamente con il ricalcolo contributivo. Noi su questo non siamo assolutamente d’accordo, si rischia infatti di avere un’Opzione donna allargata a tutti, con tagli anche oltre il 30%, in alcuni casi». 

Queste le parole del segretario Confederale Cgil, Roberto Ghiselli, sulla prposta dell’esecutivo. Ha anche aggiunto di ritenere «sostenibile» l’ipotesi di un’uscita libera a 62 anni con 20 anni di contributi:

«Si tratta di anticipare la quota contributiva, che verrà poi ripagata dagli stessi pensionati, e pagare interamente solo quella retributiva. Dal 2023 verosimilmente avremo solo meno di 100mila di persone a prevalenza retributiva su 24 milioni di lavoratori. Chi è nel misto, invece, oramai ha una parte contributiva prevalente».

La proposta dei sindacati è troppo cara

Queste ultime proposte intavolate dai Sindacati sono, agli occhi del Governo, irrealizzabili e troppo dispendiose, come sottolineato dal responsabile economico del PD, Antonio Misani:

«I sindacati sanno che purtroppo le loro opzioni sono difficilmente sostenibili per le casse dello Stato, anche perché l’opzione a 62 anni di cui parlano costerebbe circa 10 miliardi di euro l’anno».